La persecuzione

Michele Santoro dissente, e gli amici antimafia spariscono

Politica - di Carmine Fotia

9 Agosto 2023 alle 13:00 - Ultimo agg. 9 Agosto 2023 alle 15:18

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Michele Santoro dissente, e gli amici antimafia spariscono

Michele Santoro ha ragione. Il presidente della repubblica, cui era rivolta la lettera pubblicata sull’Unità, saprà cosa fare e non mi permetto di dare consigli. Credo però che la vera e propria persecuzione giudiziaria di cui sono stati vittime Santoro e Guido Rutolo, per il semplice fatto di aver scritto un libro-intervista a un mafioso pentito che contestava la teoria dei mandanti esterni delle stragi mafiose, cara a qualche procura, a qualche esponente politico, a qualche giornale, meriterebbe l’attenzione dell’opinione pubblica, delle forze politiche, dei media.
I fatti li ha riassunti già Michele: lui e Guido Ruotolo raccolgono la testimonianza di un collaboratore di giustizia, Maurizio Avola, legato alla mafia catanese, che confessa di aver partecipato alla strage di via d’Amelio confezionando l’esplosivo, svela la partecipazione della famiglia Santapaola all’attentato contro il giudice Borsellino e smentisce l’affermazione del pentito Spatuzza secondo il quale, nel commando di via d’Amelio vi fosse una persona a lui sconosciuta , un “estraneo” a cosa nostra, che, secondo gli inquirenti nisseni apparteneva ai servizi segreti. I due giornalisti fanno le loro verifiche, si convincono che quel racconto meriti di essere conosciuto.
Tuttavia invitano il pentito a rivolgersi ai giudici di Caltanissetta cui spetta la competenza per la strage, e aspettano che lo faccia prima di pubblicare il libro, “Nient’altro che la verità”. I pm nisseni, però, prima che il libro sia pubblicato e a indagini in corso, rilasciano un comunicato in cui ipotizzano un depistaggio e accusano i giornalisti e l’avvocato difensore del pentito, Ugo Colonna, di esserne complici.

Nel frattempo, uno dei boss tirati in causa da Avola, Aldo Ercolano, della famiglia Santapaola, condannato all’ergastolo ostativo, querela per calunnia Santoro e il pentito, contestazione che i pm estendono anche all’avvocato del pentito. Santoro viene iscritto nel registro degli indagati e Ruotolo no, ma entrambi i giornalisti vengono intercettati con il trojan, spiati, pedinati: “Ricostruendo come reato la pubblicazione di un libro, prendendo spunto dalla querela di un boss della mafia, sono stato spiato nella mia attività professionale, nei rapporti con le mie fonti e nella vita privata, perfino quando ero a colloquio con il mio difensore, Lorenzo Borrè”, racconta Santoro che denuncia un’altra grave violazione delle regole processuali perché sia lui che Ruotolo vengono chiamati come testimoni nel procedimento scaturito dalle dichiarazioni di Avola, pur essendo indagati o indagabili in un procedimento connesso, nato in seguito alla querela del boss catanese Ercolano. La differenza sta nel fatto che il testimone non può avvalersi né di un avvocato difensore, né delle garanzie processuali di un indagato. Alla fine delle loro indagini i pm nisseni chiedono l’archiviazione per le accuse contenute nella testimonianza di Avola, ma il Gup non l’accoglie e fissa l’udienza a ottobre per approfondire.

Questa la vicenda giudiziaria che avrà il suo corso, ma le questioni poste da Michele travalicano l’ambito giudiziario e toccano questioni delicatissime che riguardano il diritto alla privacy, il diritto a fare informazione libera, la reputazione di due giornalisti, l’origine e l’obiettivo delle stragi mafiose.
Intanto, vorrei offrire una testimonianza personale. Conosco Guido Ruotolo e Michele Santoro da decenni (Guido credo più o meno da cinquant’anni) e respingo l’idea che possano essere stati complici consapevoli di un depistaggio mafioso. Accusarli di complottare con la mafia è ridicolo, prim’ancora che ingiusto. Le trasmissioni di Santoro sono sempre state una sfida aperta alla mafia: da quelle con Libero Grassi alla maratona antimafia in comune con Maurizio Costanzo, per il quale il conduttore di Mediaset subì un attentato mentre Santoro, che ha sempre rifiutato la scorta, compariva in una lista di obiettivi da eliminare. E le inchieste di Guido Ruotolo parlano per lui.
Vedranno i giudici se il racconto del pentito sia fondato, ma i due giornalisti hanno fatto semplicemente il loro dovere facendo le verifiche possibili, incrociando fonti diverse, consultando esperti e pubblicando il libro solo dopo che il pentito aveva rilasciato le sue dichiarazioni all’autorità giudiziaria. Quello cui assistiamo oggi è dunque un mascariamento (dal siciliano mascariare che vuole dire sporcare) della immagine pubblica e dunque della credibilità di due giornalisti liberi e coraggiosi. Dove sono le “scorte mediatiche” dei miei cari amici di Articolo 21? Dov’è la mobilitazione dell’indignato permanente collettivo? E gli intellettuali pronti a firmare qualsiasi appello dove sono adesso?

C’è poi la denuncia di Michele che chiederebbe quanto meno un approfondimento del Csm sul modo in cui i due giornalisti sono stati spiati, subendo un’intrusione devastante nelle loro vite private e professionali, fino all’aberrazione della registrazione dei colloqui con il proprio avvocato difensore.
Infine, c’è la madre di tutte le questioni: il teorema della trattativa stato-mafia e dei mandanti esterni delle stragi mafiose, smentito da una quantità ormai copiosa di sentenze passate in giudicato, ma pronto a rinascere ogni volta dalle sue ceneri, come una sorta di araba fenice .
Il primo a essere mascariato come regista dell’operazione fu l’ex-democristiano Calogero Mannino (assolto definitivamente dopo una lunga carcerazione e anni di processi), poi tocco al generale Mario Mori (assolto), l’uomo che catturò Totò Riina, in seguito ai ministri del governo Ciampi, Nicola Mancino (assolto), ministro dell’interno della sinistra dc (quella che in Sicilia, con l’assassinio di Piersanti Mattarella, pagò il prezzo più alto nella lotta alla mafia) e Giovanni Conso (deceduto prima della sentenza) e si arrivò persino a coinvolgere l’allora capo dello stato Giorgio Napolitano. Caduti miseramente questi cartelli di carta ora se ne vuole erigere un altro che vede in Silvio Berlusconi, tramite Marcello Dell’Utri, il mandante esterno delle stragi. Dunque, sarebbe esistito un complotto che coinvolge centro, destra e sinistra per trattare con i mafiosi e nascondere l’esistenza di una regia occulta, esterna alla cupola mafiosa.

Un teorema non sorretto da alcuna prova, che si fonda su una lettura errata del pensiero di Giovanni Falcone che per primo parlò di un “terzo livello” nella gerarchia mafiosa ma, come egli stesso e i suoi più stretti collaboratori hanno chiarito, non pensava affatto che esistesse qualcuno che dall’esterno ordinasse alla mafia cosa fare. Voleva dire, come fu poi acclarato, che la mafia non era fatta solo di killer ma che comprendeva anche uomini politici e grandi uomini d’affari (I Lima, i Salvo, i Ciancimino) e che questi avevano complicità nelle istituzioni, compresa la magistratura e i servizi segreti. Era un sistema di potere consolidato che nel corso degli anni ’80, con l’ascesa dei corleonesi, ha inaugurato lo stragismo con l’attentato al giudice Rocco Chinnici e ha decapitato le istituzioni siciliane assassinando giudici e poliziotti scomodi, politici nemici della mafia e servitori dello stato. Una mafia che non cerca più l’accomodamento con il potere politico ma vuole dominare e per questo, in un delirio di onnipotenza, decide le stragi del ’92-93, che determineranno la risposta forte dello stato e la loro sconfitta.

Questa è la verità sancita da innumerevoli processi. Ed è anche la verità storica. Esiste invece un’antimafia lisergica che sostiene tutt’altro. Si riunisce attorno a riviste come Antimafia2000, diretta da un signore che si chiama Maurizio Bongiovanni e che sostiene di avere le stimmate, di parlare con gli alieni e di aver ricevuto da Gesù in persona l’incarico di sconfiggere la mafia. Insomma, come i Blues Brother, è un “inviato per conto di Dio”. C’è di più: uno dei più autorevoli esponenti della procura di Palermo, Roberto Scarpinato, ora senatore del M5S, collaboratore della succitata rivista, sostiene l’esistenza di una sorta di Spectre fatta di pezzi di istituzioni, servizi segreti, logge massoniche, formazioni neofasciste e personalità politiche, che stava sopra le Cupola mafiosa e che avrebbe orchestrato tutte le stragi italiane dal 1969 al 1993. Secondo questo ennesimo teorema non sappiamo nulla di quanto realmente accaduto: dopo le stragi del 1992, come in una distopia alla Philip K. Dick, non vinse lo stato ma la mafia e pertanto siamo stati governati per decenni da una consorteria che ordinava alla mafia cosa fare e che quindi se di tale gigantesco complotto non si trova traccia è perché essendo stati governati (ed essendo tuttora governati) da tale Associazione Segreta, le prove sono nascoste, occultate, manipolate. Una visione che dunque affida a un manipolo di Pm dai poteri debordanti il compito di liberare l’Italia.
È questo l’humus nel quale nasce la persecuzione contro Michele Santoro e Guido Ruotolo. E non è solo in difesa di due valorosi colleghi che occorrerebbe parlare, ma anche per demolire l’idea di una mafia invincibile, di un paese governato dai poteri occulti, di una democrazia che può rinascere solo sotto il controllo totalitario di un gruppo di illuminati. Solo che così non si combatte la mafia, si uccidono la democrazia e la speranza. La mafia ha avuto complicità anche nelle istituzioni, ma la rivolta civile dopo le stragi del 1992 le ha travolte, messe in luce, ha costretto lo stato a reagire con una forza mai vista prima e ha consentito all’Italia di risollevarsi e alla sua democrazia di crescere pur tra limiti, imperfezioni e gravi ineguaglianze. Correggerle è compito della società e della politica, non dei tanti aspiranti Angeli Vendicatori dei quali faremmo volentieri a meno.

9 Agosto 2023

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