L'articolo dello scrittore

Alain Elkann, i ‘lanzichenecchi’ e il merito di aver riaperto la discussione letteraria

Con la testimonianza del viaggio verso Foggia, ha imposto a tutti una domanda romanzesca: possiamo raccontare il mondo in tutta sincerità?

Editoriali - di Fulvio Abbate

28 Luglio 2023 alle 14:30

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Alain Elkann, i ‘lanzichenecchi’ e il merito di aver riaperto la discussione letteraria

Allo scrittore Alain Elkann dobbiamo uno “scandaloso” articolo apparso nei giorni scorsi su “la Repubblica”. Il racconto del proprio smarrimento durante un viaggio in treno verso Foggia, addirittura il fastidio risentito davanti a un ordinario genere umano ferroviario ai suoi occhi insignificante, se non decisamente volgare; “lanzichenecchi”, li ha definiti con lessico da sussidiario di storia delle elementari.

Così scrivendo Elkann è tuttavia altrettanto riuscito, forse inconsapevolmente (raccogliendo anche un cesto di insulti) a realizzare un’occasione dialettica unica: riaprire il dibattito letterario da tempi immemorabili assente, almeno nel nostro Paese. Imponendo a tutti, scrittori e semplici lettori, una domanda capitale propria della professione romanzesca: possiamo raccontare il mondo in tutta sincerità? Irrilevante che ad alcuni, me compreso, la scrittura sia apparsa, sempre letterariamente, stentata, mentre altri hanno ravvisato invece una cifra inaccettabilmente “classista”, ancor di più se ospitata da un giornale storicamente prossimo a un pubblico “progressista”.

Il racconto, personale testimonianza, espressione della propria individualità, ha avuto così il merito quasi magico di rendere insignificanti decenni di elzeviri, corsivi, note, discussioni, simposi, incontri letterari e perfino rassegne radiofoniche (si pensi a “Fahrenheit”, su Radiotre) sul tema romanzesco, surclassando ogni indicazione probante che possa giungere dai critici e conversatori del mestiere. Anche il fantasma del Salone del Libro di Torino, l’indistinto della folla che sciama tra gli stand, la cultura come gadget di consumo, il Lingotto trasfigurato nel set di “Play Time” di Jacques Tati, è stato incredibilmente obliterato dalle sue parole, sebbene occasionali.

Comprensibile che a molti siano apparse sgradevoli, caricate da ostentato snobismo. Ai miei occhi segnate semmai da smarrimento, se non candore, perfino umana ingenuità. Elkann, insomma, con un racconto veloce ha reso possibile ciò che nel mondo della letteratura non accadeva forse da esattamente sessant’anni fa, quando a Palermo un nucleo di allora giovani scrittori e critici della neoavanguardia dette vita al Gruppo 63, mettendo in discussione la sostanza stessa della narrazione. Un dibattito letterario imprevisto, e solo per suo merito, poco importa se involontario.

Cui nulla ha aggiunto l’articolo “riparatorio” dello scrittore Paolo Di Paolo, apparso giorni dopo sulle stesse pagine, ambientato sul medesimo treno già frequentato dall’imperdonabile Alain, che addirittura citava Proust come amuleto, segno distintivo della propria classe ed eleganza, seppure “di lino stazzonato”. Bene, di fronte a una querelle andata assai oltre i confini ristretti della discussione letteraria (si è addirittura aggiunto il malumore, sempre rispetto al lessico di Elkann, manifestato dal comitato di redazione de “la Repubblica”) ho sentito personalmente la necessità di chiamare l’amico Enrico Vanzina per suggerirgli di realizzare un film, assolutamente vanziniano, che abbia come titolo “Vacanze a Combray”, il luogo, si sappia, dove il giovane Proust trascorreva le vacanze, dominio ideale della sua “Recherche”.

Spero di averlo convinto a impegnarsi presto a stendere un abbozzo di soggetto, cui conto di partecipare in prima persona, in attesa della decisiva sceneggiatura. Detto questo, auspico, che dalla prossima domenica il giornale fondato da Eugenio Scalfari ci faccia dono puntualmente di nuovi racconti sempre di Elkann; che mostrino ancora il mondo senza sconti, con la sincerità perfino oscena che la letteratura necessita, anzi, pretende per restituire la verità delle cose, posto che, come si è detto, nessuno era riuscito in egual modo a ravvivare il dibattito negli ultimi lustri; lo scrittore risponde sempre e comunque a se stesso, alla propria voce, tutto il resto è conformismo, è il nulla che si presume profondo o edificante. Avanti Alain!

28 Luglio 2023

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