Parola al parlamentare dem

Intervista a Roberto Morrassut: “Così possiamo rilanciare il Paese”

«Serve fare un grande piano di assunzioni, non generiche - è la proposta del deputato dem - nella pubblica amministrazione. Transizione ecologica, uguaglianza sociale e pace sono tre questioni legate: o le affrontiamo o il Paese non si rilancerà»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

20 Luglio 2023 alle 16:30

Condividi l'articolo

Intervista a Roberto Morrassut: “Così possiamo rilanciare il Paese”

La sua è, dal punto di vista dello spessore analitico e delle problematiche affrontate, una visione “trontiana” delle sfide su cui la sinistra è chiamata a cimentarsi. Guerra, cambiamenti climatici, migranti, giustizia e diritti. Temi cari a l’Unità. Che Roberto Morassut, combattivo parlamentare dem, un passato da amministratore del Comune di Roma, assessore all’Urbanistica e a Roma capitale nella giunta Veltroni, affronta e rilancia.

Può esistere una sinistra forte senza un pensiero forte e una memoria storica che la sostenga?
Tra il 1933 ed il 1937, Roosevelt promosse con il New Deal un grande programma di intervento pubblico nell’economia per superare la drammatica crisi del 1929, provocata dalla speculazione finanziaria che aveva ridotto sul lastrico milioni di lavoratori, determinato una disoccupazione di massa e distrutto migliaia di imprese. Quel programma era basato su forti investimenti pubblici, opere pubbliche, presenza diretta dello Stato in economia e nell’industria, assistenza sociale. All’inizio non fu un successo. Il sistema era intorpidito e basato su vecchi paradigmi. Purtroppo ci volle una guerra per rimettere in moto una domanda (quella dell’industria bellica) che prima non c’era e offrire il campo vastissimo e mondiale della ricostruzione. Il debito pubblico veniva sorretto da una crescita altissima e apparentemente illimitata, grazie alla ricostruzione possente di un ceto medio che faceva anche da bilanciere del conflitto sociale e da “assicurazione sulla vita” rispetto alle suggestioni rivoluzionarie provenienti dall’altro blocco politico e militare costituitosi ad est, dopo la guerra. Dico questo perché anche il Pnrr, questo grande programma di riabilitazione europea, che prevede centinaia di miliardi investimenti e che vede l’Italia come il principale paese-obiettivo può riuscire se si accompagna a due elementi fondamentali: l’eguaglianza sociale o perlomeno una ricostruzione del tessuto sociale con una maggiore tutela delle fasce deboli, una ripresa della domanda, una riduzione della povertà ma anche la pace, un clima di relazioni internazionali con minori rischi di guerra soprattutto in Europa.

Il che porta a quale conclusione?
Transizione ecologica e digitale, eguaglianza sociale e pace sono tre facce dello stesso problema sul quale deve fiorire un nuovo pensiero ed una nuova pratica “militante” o di impegno civile della sinistra per battere il populismo ed il sovranismo che oggi rappresentano la suggestione “alternativa” che ispira percorsi politici, forme statali e di organizzazione della società e dell’economia contrari alla democrazia. Il Pnrr e la sua attuazione in questa direzione sono vitali per l’Italia, per l’Europa ma anche per la sinistra italiana ed europea. Il problema principale che credo di riscontrare sta nel fatto che il Pnrr non è il classico programma di investimento in cui si erogano delle risorse, che si spendono in forma lineare. Esso comporta una rivoluzione generale della pubblica amministrazione, della sua organizzazione – potrei dire – industriale, dei soggetti necessari per una ottimale attuazione dei programmi e degli obiettivi. Deve crescere la dimensione delle forze in campo ed occorre aumentare il numero delle unità che operano nella Pubblica amministrazione con un grande piano di assunzioni, tuttavia non generiche. Occorre aumentare il tasso tecnico dei dipendenti pubblici. Servono ingegneri, architetti, economisti, program managers, fisici e chimici e dipendenti amministrativi con una forte formazione giuridica. Va, in sostanza, superato il timbro burocratico-clientelare e disciplinare della nostra Pubblica amministrazione che, nonostante i cambiamenti, resiste perché così si è formato in 150 anni e oltre di storia italica.

Una “rivoluzione” culturale nella sfera del pubblico…
La pubblica amministrazione va considerata la colonna portante di tutto l’edificio statale che deve far girare tutto quanto: consentire alle imprese di connettersi meglio, accorciare i tempi, non ricorrere alla dipendenza dalle banche – che aumenta i costi- non avere la tentazione di derogare alle regole anche con la corruzione, non comprimere il costo e la sicurezza del lavoro. È grave che nel decreto PA il Governo non abbia minimamente considerato la necessità di un forte programma di potenziamento e qualificazione della pubblica amministrazione ma si sia concentrata sul tema del ruolo della Corte dei Conti individuandolo come addirittura un problema. In secondo luogo – sempre restando nel campo dell’organizzazione dello Stato- occorre mettere in campo un’idea totalmente diversa di regionalismo. Serve una riforma del regionalismo italiano non una sua dissoluzione antimeridionalista attraverso l’autonomia differenziata. Occorre accorpare Regioni, Province e Comuni perché sono troppe.

E qui si tocca un tema caldo dell’“estate militante” lanciata da Elly Schlein: quello della battaglia contro l’autonomia differenziata.
Io sono perplesso e l’ho detto nella nostra riunione di gruppo, rispetto alla discussione che stiamo tenendo sul tema dell’autonomia differenziata. Noi siamo contro e va bene. Ma qual è la nostra idea di riforma del sistema degli enti locali? Io non sono convinto, anzi non credo che non ci possa bastare dire che reintroduciamo le province elettive. In sé posso anche essere d’accordo, ma in quale contesto? La prima cosa di cui ha bisogno il Mezzogiorno è acquisire, per la prima volta nella storia italiana, una personalità geopolitca nel Paese e nel Mediterraneo ed una massa critica adeguata alle sue risorse, potenzialità e storia. Non può continuare a vivere di assistenza se non di elemosina di ciò che avanza dal Pil del Nord. Deve trovare in sé le sue risorse. Ecco perché penso ad una riduzione delle regioni e alla creazione di un’unica grande regione del Mezzogiorno – magari passando dalla giusta idea di De Luca di una Zes unica del Sud- da 8 – 10 milioni di abitanti e che faccia massa critica. La frammentazione del Sud è la prima causa della sua debolezza. Dobbiamo riprendere le linee di pensiero dei grandi meridionalisti italiani democratici come Sturzo, Salvemini, Dorso e Gramsci che su questo hanno elaborato idee e pensieri per tutta la loro vita. Nello stesso tempo occorre dare alle grandi metropoli italiane a vocazione internazionale, come Milano, Roma e Napoli un ordinamento speciale di rango regionale che le metta in contatto diretto con la finanza nazionale ed europea e dia loro i poteri programmazione e legislazione di cui hanno bisogno. Attenzione. Se non faremo questo sorgerà presto un movimento meridionalista di tipo “neo borbonico” che alligna da anni sotto la pelle del Sud e che per ora si è confuso con il populismo dei primi Cinque Stelle.

La butto giù seccamente. Elly Schlein, che lei ha sostenuto alle primarie, la sta convincendo da segretaria?
Sul piano sociale e del lavoro Elly Schlein si sta muovendo bene e con grande energia. La battaglia sul salario minimo è una battaglia di dignità del lavoro che non può che essere la principale preoccupazione della sinistra. Alla fine dell’Ottocento fu Papa Leone XIII, Papa di Carpineto romano, a scrivere nella “Rerum Novarum” dell’importanza della “giusta mercede”. In una società capitalistica il tema del salario è sempre un tema aperto perché è il cuore della dialettica di classe che non scompare, che esiste – direi – in natura e che sempre ha bisogno di essere affrontato con il cambiamento delle forme del lavoro, della sua organizzazione e con il mutamento della tecnologia e delle generazioni. Così come il tema del tempo di vita e di lavoro, oggi tornato centrale dopo il Covid con le nuove forme lavorative di smart working. Elly è andata a Napoli per sollevare il grande tema della sanità pubblica. Ha centrato uno dei grandi problemi attuali e più sentiti dalla popolazione. I livelli di prestazione, le liste di attesa, gli investimenti in macchinari sono gravemente in calo. La destra riduce gli investimenti per la sanità pubblica ed è uno scandalo. Un’offesa ai più poveri. Come è un’offesa la messa in atto di una controriforma fiscale con la nuova legge delega che punirà i poveri e le fasce medio basse, riducendo le risorse per i servizi e premierà i più ricchi che potranno comperarsi i servizi sanitari e scolastici privatamente. L’estate militante che abbiamo lanciato e che stiamo conducendo in tutta Italia nelle feste dell’Unità – dove resiste il marchio di questo giornale – ha questo significato. Infine la pace.

Altro tema caldissimo…
Qui voglio essere molto chiaro. Credo che dobbiamo batterci, accanto al sostegno militare all’Ucraina, per favorire una nuova visione e un nuovo sistema di governo mondiale che favorisca la pace. La Russia, come abbiamo visto nei giorni dello scontro interno, è un Paese che rischia di esplodere e disgregarsi. Ma è un Paese che occupa 1/5 delle terre emerse con una popolazione di meno di 200 milioni di abitanti.
Una nazione che per questi squilibri e queste profonde schizofrenie della coscienza nazionale, vuole essere trattata come un Impero e che sempre teme l’accerchiamento. Questa psicosi ha spesso o quasi sempre favorito le forze antidemocratiche, asiatiche, totalitarie su quelle occidentaliste, democratizzanti, aperturiste.

Intorno alla Russia, che in realtà è un aggregato debole, si stanno costituendo due nuovi blocchi politico- militari e ideologici: la Nato e la Cina.
C’è o no il rischio che qualcuno immagini per la Russia un futuro simile a quello che si immaginò per la Polonia nel corso del Novecento?
Cioè di un Paese – in questo caso però un enorme Impero- da dividere in zone di influenza o addirittura da disgregare? Questo è lo spauracchio che Putin agita continuamente e che determina buona parte della tensione attuale. Mi domando se questa è una via utile per la pace. Noi non avremo prosperità, transizione ecologica, giustizia sociale, senza un progetto mondiale di pace con l’Europa protagonista di questo progetto e questa è la missione della sinistra in questo secolo.

20 Luglio 2023

Condividi l'articolo