La proposta di legge
Autonomia differenziata e questione meridionale, la sinistra guidi l’opposizione del Sud
Calunniati per decenni, fiaccati nell’autostima, i meridionali guardano con rassegnazione la discussione sul loro destino
Editoriali - di Ilario Ammendolia
C’era una volta, tanto ma tempo fa, la “Questione Meridionale” e c’erano i grandi meridionalisti. C’era Gaetano Salvemini che dedicò alla gente del Sud l’intera vita. C’erano i piemontesi Carlo Levi e Zanotti Bianco e i liberaldemocratici Nitti e Fortunato. C’era Gramsci che, nelle prigioni fasciste, portava a compimento il suo lavoro sul Mezzogiorno come questione nazionale e sulla necessità di una alleanza strategica tra classe operaia del Nord e contadini del Sud.
Infine gli intellettuali di area cattolica, come Pasquale Saraceno, che indicavano nell’intervento straordinario, tramite la Cassa per il Mezzogiorno, la strada per ridurre il gap tra Nord e Sud. Fatto sta che per più decenni la “questione meridionale” fu una questione centrale nel dibattito politico e culturale italiano. Si pensi a periodici come “Cronache Meridionali” di orientamento marxista o a “Nord Sud” intorno a cui si riunirono tanti intellettuali liberaldemocratici. La “questione” ebbe una sua centralità grazie e soprattutto alle lotte per la terra, alla rivolta di Reggio Calabria e alla costruzione di una resistenza democratica intorno ad essa, alla straordinaria mobilitazione popolare dopo le alluvioni.
Qualcosa non funzionò. Infatti, raramente le lotte del Sud hanno incontrato la classe operaia, gli intellettuali e i ceti medi del Nord. Forse perché il sacrificio del Sud era il prezzo da pagare per lo sviluppo dell’altra parte del Paese. Il Sud entrò nel nuovo Millennio con un disastro alle spalle. Una grave sconfitta storica che determinò l’emigrazione forzata delle migliori energie di cui disponeva e che ancora continua anche se con caratteristiche diverse. Oggi, c’è chi pensa di dare una “soluzione” finale al problema attraverso l’autonomia differenziata.
Non mi scandalizza la legge in sé, (e dovrebbe scandalizzare), mi tormenta il rassegnato distacco con cui i meridionali guardano da lontano la discussione sul loro destino. Comprendo “la politica meridionale”, inconsistente come non mai, rigorosamente “selezionata” e legata a doppio filo con i centri di poteri nazionali. Mi domando però, perché in Sicilia, in Calabria, a Napoli non scoppia quello che Guido Dorso chiamava un “incendio ideale” come reazione alla proposta indecente del governo? Azzardo una risposta.
Il Mezzogiorno ha subito 40 anni di diffamazione lucida e calcolata. Una sistematica campagna di calunnie che hanno cambiato la percezione che i meridionali hanno di sé stessi. Hanno perso l’autostima, la memoria storica, la fierezza. Si sentono portatori di una colpa per qualcosa che non hanno mai fatto. Così accettano con rassegnazione gli scioglimenti a raffica dei loro consigli comunali, il sequestro delle imprese, e si sottopongono a processi sommari senza battere ciglia. Dopo un tale trattamento restano muti sul disastro della sanità o sulla inadeguatezza della scuola.
Le grandi operazioni come “Rinascita Scott” hanno sfibrato anche i più forti. La criminalizzazione sistematica è l’ultimo stadio dell’antimeridionalismo. Non c’è alcuna congiura contro il Meridione ma solo le regole d’un gioco truccato e beffardo dove il più debole perde e il “banco” vince sempre. Il “banco” è lo Stato, non quello astratto e ideale, ma quello che rappresenta i poteri vincenti. Penso alle grandi banche, alle grandi concentrazioni editoriali, al potere economico. Il Sud non è a Destra.
Il Sud è all’opposizione non tanto del governo ma di un sistema che rende irrisolvibile la “questione meridionale”. Una opposizione che non può dispiegarsi perché manca un grande partito nazionale di ispirazione democratica, garantista e con la volontà di battersi per la difesa e l’attuazione della Costituzione. Eppure sarebbe l’ora della Sinistra e potrebbe essere l’ora del nuovo PD se questo fosse realmente nuovo. Se non ora, quando?