Il retroscena
Autonomia, crisi di nervi tra FdI e Lega: Meloni per il sì alla riforma Calderoli ma solo dopo le Europee
Politica - di David Romoli
“Non prima delle europee”: l’imperativo dello stato maggiore di FdI è conciso e tassativo. “Bisogna incassarla in tempo per le europee”: la parola d’ordine in via Bellerio, quartier generale della Lega, è diametralmente opposta ma altrettanto ultimativa. Si parla della legge Calderoli sull’autonomia differenziata e bisogna tener conto di questa tensione che corre sotto pelle per comprendere in pieno la crisi di nervi scatenata dal dossier sulla legge del Servizio Bilancio del Senato, spuntato e subito depennato dall’account LinkedIn di palazzo Madama.
Il dossier è una bocciatura secca. Conferma la fondatezza della principale accusa rivolta all’autonomia differenziata, quella di spaccare il Paese rendendo ancora più povere e svantaggiate le regioni già povere. La frase chiave era esplicita. Sottolineava infatti il “ridimensionamento del bilancio statale col rischio di non riuscire a conservare i livelli essenziali delle prestazioni presso le regioni non differenziate”. In sintesi: un’Italia di serie A e una di serie B.
Calderoli, papà della riforma, e Salvini hanno fatto l’inferno, se la sono presa con La Russa, presidente del Senato e con palazzo Chigi. L’accesso al dossier è stato bloccato. Gli uffici del Senato presentano le scuse: “Era una bozza provvisoria”. Calderoli non si accontenta e torna alla carica: “I palazzi e gli interessi del centralismo cercano di intromettersi, utilizzando qualsiasi tipo di strumento”.
L’opposizione, come è ovvio, insorge in massa contro l’attacco rivolto ai tecnici di palazzo Madama ma sin qui è repertorio. Il guaio è che la Lega include nel novero dei sospetti anche gli alleati tricolori. Il capogruppo Romeo denuncia il “colpo basso da parte di chi ha tentato di screditare l’operazione” ma quando gli chiedono se la colpevole “manina” è di destra o di sinistra non si sbilancia: “Tutte le ipotesi sono aperte” e del resto, lontano dei riflettori, il dubbio che dietro l’operazione ci fosse il presidente del Senato in persona i leghisti lo avevano espresso a chiare lettere.
I nervi a fior di pelle si spiegano certo con il merito del provvedimento che, se approvato, stravolgerà i connotati del Paese a tutto vantaggio di chi di vantaggi ne ha già molto. Ma si spiegano anche, e forse anche di più, con la tempistica. La legge è incardinata, entro la fine di maggio termineranno le audizioni, poi si passerà alla discussione vera e propria. Prima di rendere esecutivo il provvedimento bisogna definire i Lep, i livelli essenziali di prestazione che devono essere comunque garantiti, ma la commissione ad hoc dovrebbe terminare i lavori entro l’anno e si sa che la difficoltà, in materia di Lep, non sta nel definirli ma nel farli rispettare. Il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato Balboni, FdI, un po’ tira ad allungare i tempi ma sulla carta la possibilità di riuscire a differenziare il Paese prima delle europee, quando i partiti tutti e dunque anche quelli della maggioranza si conteranno, senza dubbio c’è. E questo, per FdI è un doppio guaio.
In parte si tratta di una classica competizione elettorale: la Lega ha bisogno di sbandierare la conquista per fare il pieno dei voti nel nord, FdI mira proprio a impedire questo risultato. Però in ballo c’è di più. FdI si è risolta, o si sta risolvendo, ad accettare la sgraditissima autonomia differenziata anche perché ritiene che l’elezione diretta del premier, cioè il rafforzamento molto drastico del capo del governo e dunque del potere centrale, basti a compensare le divisioni introdotte dalla riforma di Calderoli. La Lega nutre nei confronti del premierato gli stessi sentimenti che gli alleati tricolori provano per l’autonomia differenziata: lo detesta. Se potessero i leghisti preferirebbero di gran lunga fare asse col Pd sul cancellierato piuttosto che con Renzi e Calenda sulla confusa ipotesi del “sindaco d’Italia”. Siccome fidarsi è bene ma evitarlo è meglio, a FdI l’idea di pagare alla Lega il suo prezzo in anticipo non piace affatto. In fondo i costituzionalisti del Pd scommettono proprio sul fatto che alla fine anche la destra sarà costretta a sacrificare l’elezione diretta accontentandosi del cancellierato, cioè del rafforzamento di un premier non direttamente eletto.
Salvini, inoltre, ha già chiarito di non essere disposto a votare un premierato che includesse la norma in base alla quale la sfiducia nei confronti del presidente del Consiglio eletto, o le sue dimissioni, implicassero automaticamente scioglimento delle Camere ed elezioni anticipate. Il potere del capo del governo, in questo caso, diventerebbe infatti quasi assoluto e al momento Salvini è molto lontano dal poter ambire a occupare lui quella casella. Il progetto di Renzi e Calenda, cioè dell’unica e dunque fondamentale sponda che Meloni abbia trovato nell’opposizione, però rischia di essere proprio quello bocciato da Salvini ed è evidente che per FdI trattare senza avere a disposizione l’autonomia come strumento di pressione e mercateggiamento sarebbe un bel guaio. Dunque i fratelli tricolori tirano al passo della tartaruga, gli alleati leghisti a quello della lepre. E in un simile clima di tensione crescente sotto pelle è inevitabile che un incidente come quello del dossier del Senato diventi deflagrante.