Il personaggio
Chi era Stefano Schiapparelli, Willy la “guardia rossa” della Rivetti di Biella
Willy il “vecchio compagno”, andò in guerra e subito dopo si iscrisse al Partito Comunista d’Italia. Durante il fascismo emigrò in Francia
Editoriali - di Duccio Trombadori
Vorrei ricordare per onomatopea con un altro piemontese, il grande astronomo Giovanni Schiaparelli, la figura non meno illustre del compagno Stefano “Willy” Schiapparelli, che quelli della mia età frequentatori delle Botteghe Oscure avranno sicuramente incontrato se non conosciuto: uomo gioviale, energico, col vocione e la battuta pronta, era il prototipo del “vecchio compagno”, un comunista tutto di un pezzo, che la sapeva lunga, tante ne aveva viste e attraversate.
Piemontese purosangue, nato ad Occhieppo superiore nel 1901, “Willy” si era formato giovanissimo a Biella come apprendista fabbro; andò poi in guerra e subito dopo si iscrisse al Partito Comunista d’Italia. Durante l’occupazione delle fabbriche fu “guardia rossa” nello stabilimento Rivetti di Biella. A fascismo incipiente decise di emigrare in Francia dove svolse attività politica negli ambienti dell’emigrazione italiana. Dopo aver lavorato nel giornale “La Vie Proletarienne”, nel 1933 passò due anni alla “Scuola leninista” di Mosca, tornò in Francia e fu inviato per una missione in Canada.
Il viaggio di Willy (questo il nome di copertura che gli sarebbe rimasto negli anni), si concluse a New York, dove venne arrestato e scontò cinque mesi di carcere perché aveva documenti falsi. Combatté durante la guerra civile spagnola e nel 1941 fu vicino a Giorgio Amendola per trasferire l’ufficio estero del PCI clandestino da Parigi nel sud della Francia e in Italia. Nel 1942 Willy finisce di nuovo nelle mani della polizia. Resta per 21 mesi nel carcere di Nimes e nel febbraio del 1944, aiutato da antifascisti della zona, evade. Willy riesce a tornare in Italia e nel luglio del 1944 è attivo nella Resistenza. “Willy” combatté nelle Brigate Garibaldi in Emilia e in Veneto.
A guerra finita fu segretario delle federazioni del PCI a Novara, Vicenza e Biella. Negli ultimi anni della vita, quasi settantenne, Schiapparelli tornò a Roma nella sede centrale del PCI ed ebbe un incarico nel Collegio dei probiviri del Partito. Era pieno di burbera bonomia, sempre pronto alla battuta sarcastica nei confronti dei ‘giovani compagni intellettuali’. A me era molto simpatico, mi piaceva soprattutto il suo fare franco, sbrigativo, di uomo irrobustito dalla dura vita del “combattente”.
Era un tipo classico del “vecchio PCI”, settario, onesto, e pronto ad ogni sacrificio per il suo ideale politico. Era stato (ed era rimasto in cuor suo) un tenace e ostinato “staliniano”. Ma aveva un debole per Giorgione Amendola, di cui ammirava la foga antifascista militante e la superiore tempra intellettuale: proprio lui, il compagno “Willy”, che per formazione ed origine sociale, verso i ‘compagni intellettuali’ aveva sempre nutrito una istintiva diffidenza. Scrisse un libro, “Ricordi di un fuoriuscito” (ed. Calendario del popolo, 1971). Morì a Roma nel 1985.