Stretta su indagini e pm

I casi Santanché e Delmastro scuotono Fratelli d’Italia, e Meloni va alla guerra

Dopo la velina di palazzo Chigi che preannuncia battaglia ai magistrati è la volta di via Arenula: “via l’imputazione coatta e gli atti saranno secretati”

Politica - di David Romoli

8 Luglio 2023 alle 11:00

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I casi Santanché e Delmastro scuotono Fratelli d’Italia, e Meloni va alla guerra

E pensare che il viceministro della Giustizia targato FI, Francesco Paolo Sisto, in mattinata aveva provato a spegnere l’incendio ormai divampato: “Il tempo della guerra con la magistratura è finito. I magistrati belligeranti e i guerrafondai ‘en pendant’ vanno isolati”. Un colpo al cerchio, uno alla botte e torniamo alla pace dopo le sparate pirotecniche della sera precedente. Dal ministero di Sisto in via Arenula la pensano diversamente.

Il comunicato diramato ufficialmente dalle ufficiose fonti è di tutt’altro tono. Non lo firma il ministro Nordio, che era a Tokyo, ma è come se lo facesse: difficile infatti pensare che una dichiarazione di guerra venga comunicata senza chiedere prima il parere del comandante. Le “fonti” affrontano il caso Delmastro, che le riguarda da vicino trattandosi appunto di un sottosegretario di via Arenula: “L’imputazione coatta dimostra l’irrazionalità del nostro sistema. È necessaria una riforma radicale che attui in pieno il sistema accusatorio”. Il ministero si premura anche di profetizzare cosa succederà: la procura aveva chiesto l’archiviazione. Il gip si è opposto perché non convinto dalle motivazione della Procura. La quale però al processo, vaticinano “le fonti”, dovrà chiedere il proscioglimento, se non vuole contraddirsi.

Via Arenula non si limita però al caso che lo riguarda da vicino. Mitraglia anche sulla scabrosa vicenda Santanchè, mettendo da parte al blocco i numerosissimi dubbi che l’autodifesa della ministra-imprenditrice ha suscitato anche tra i meglio disposti, cioè nella stessa maggioranza: “Fonti ministeriali manifestano, ancora una volta, lo sconcerto e il disagio per l’ennesima comunicazione a mezzo stampa di un atto che dovrebbe rimanere riservato. La riforma proposta mira ad eliminare questa anomalia tutelando l’onore di ogni cittadino presunto innocente sino a condanna definitiva”. Il governo, accelerando e allargando il raggio di riforme già presentate, intende limitare al massimo il diritto di pubblicazione di una serie di atti, inclusa l’iscrizione nel registro degli indagati e l’avviso di garanzia. La riforma dell’avviso, in realtà, era già in corso d’opera ed è stata bollinata ieri.

Nel caso Delmastro Nordio è parte in causa. Era stato lui a difendere a spada tratta in aula il sottosegretario e dopo la decisione del Gip tutti dall’opposizione lo avevano fatto notare reclamando scuse. Ma nell’esposizione del ministero c’è qualcosa in più. Già giovedì praticamente tutti i parlamentari di FdI avevano inondato le agenzie di stampa con dichiarazioni tutte uguali, esprimendo piena fiducia nell’esito favorevole al sottosegretario della vicenda ma senza alzare i toni contro la magistratura. Poi, in tarda serata, è arrivato un comunicato congiunto e incendiario, molto probabilmente richiesto dal vertice, firmato dai capigruppo Malan e Foti:Non possiamo non dirci profondamente preoccupati di quanto sta accadendo. Dobbiamo forse interpretare ciò come l’avviso della campagna elettorale del prossimo anno?”.

Di solito, in scontri di questo livello, sono i parlamentari a sparare a zero e i vertici ad abbassare i toni. In questo caso sta succedendo il contrario. Ad attizzare la fiamma sono palazzo Chigi, con il comunicato durissimo di giovedì, e il ministero della Giustizia, con quello di ieri. Eppure Meloni non aveva e probabilmente non ha alcuna intenzione di ritrovarsi a fare la parte incarnata per decenni da Silvio Berlusconi. La contraddizione si spiega solo con la convinzione, forse infondata ma sincera, della premier di essere oggetto di attacco politico di “una parte della magistratura”: quella che non ha accettato la mediazione di fatto che ha tentato Palazzo Chigi negli ultimi mesi, con i comportamenti ma forse anche triangolando con qualche sede istituzionale. Il governo ha segnato il passo nelle riforme più radicali e quindi più invise alla magistratura. In cambio si aspettava probabilmente scontri e polemiche a volontà ma anche una sorta di non belligeranza. La premier è convinta che appunto “una parte della magistratura” abbia deciso di rompere la tregua informale, per motivi politici o perché considera inaccettabile anche il poco che il governo ha fatto, segnatamente la cancellazione dell’abuso d’ufficio.

La reazione è la levata di scudi, con toni mai adoperati da questo governo, dei giorni scorsi, grazie alla quale sono tornati in auge argomenti che erano pane quotidiano una quindicina d’anni fa, dalla “giustizia a orologeria”, espressione effettivamente adoperata a Palazzo Chigi dopo l’informativa Santanchè, alle “toghe rosse” che campeggiavano ieri sui giornali vicini alla destra. Ma è anche l’accelerazione di alcune riforme della giustizia destinate a irritare ulteriormente i togati. Ieri si è riunita l’Anm, il direttivo proseguirà stamattina ma l’ex presidente Albamonte ha fornito subito un antipasto accusando Nordio di “assecondare gli umori più bassi e turbolenti della classe politica”.

L’opposizione è già tornata ai toni dei bei tempi berlusconiani. “Non si ha memoria di uno scontro istituzionale di tale portata e condotto con tanta vigliaccheria. Meloni, Nordio non nascondetevi dietro ‘le fonti’. Se vi è rimasto un barlume di senso dello Stato smentitele”, infierisce Andrea Orlando. Ovviamente i 5S rincarano: “L’attacco alla magistratura è una vergogna. Siamo di fronte a una fase pericolosa e grave per le istituzioni”.

Con toni e accenti simili tornati alla ribalta nel giro di 48 ore, nulla è più facile di un avvitamento della situazione, a colpi di botta e risposta, che spingerebbe Chigi a dare il via libera ai capitoli davvero cogenti della riforma della Giustizia, sin qui tenuti a freno. Lo scontro che ne seguirebbe sarebbe senza precedenti ma tra le piroette di Santanchè e la guerra con le toghe, il rischio è che Meloni si ritrovi proprio dove assolutamente non vorrebbe stare: nei panni di Silvio Berlusconi.

8 Luglio 2023

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