La situazione in Francia
A Marsiglia ucciso un altro ragazzo, ma Macron resta muto
La vittima era su uno scooter a Marsiglia, ammazzato con una flash ball, le munizioni di gomma definite “meno che letali”. Invece uccidono. L’hanno centrato al petto
Esteri - di Angela Nocioni
C’è un secondo ragazzo ucciso nella rivolta delle banlieu francesi scoppiata dopo l’omicidio di Nahel Merzouk, 17enne francese di origine algerina, ammazzato da un poliziotto durante un controllo stradale la mattina di martedì 27 giugno nel sobborgo parigino di Nanterre. E c’è un ragazzo in coma. Non da ieri. Da sabato. Ma le due notizie sono state tenute segrete. Il morto è un ventisettenne colpito al torace da una delle terribili flash ball della polizia, le munizioni di gomma che fanno malissimo usate nelle manifestazioni.
Le chiamano le “meno che letali”. Invece uccidono. L’hanno centrato al petto mentre era su uno scooter nella notte di sabato a Marsiglia. È stato ricoverato in ospedale ma i medici hanno detto che è morto per «shock violento al torace». La procura di Marsiglia, da cui è uscita la notizia, ha detto che «non è possibile determinare se la vittima se stesse solo circolando o se partecipasse a disordini e saccheggi avvenuti nella zona quella notte». Gli agenti sono indagati. Il ragazzo in coma si chiama Aimène Bahouh, ha 25 anni, è stato colpito da un proiettile sparato da un poliziotto del reparto speciale Raid addirittura venerdì notte a Mont-Saint-Martin, vicino al Belgio. Era in macchina con due amici, guidava lui, stava uscendo da una stazione di servizio ed è stato centrato. Gli amici hanno raccontato di averlo visto pieno di sangue accasciarsi sul volante all’improvviso. Inchiesta aperta per violenza volontaria.
Macron muto. Ha solo detto in una riunione con amministratori locali di aver forse sbagliato a non considerare il piano per le periferie dell’ex ministro Jean-Louis Borloo nel 2018, ma poi ha sbandierato la vecchia decisione sua di raddoppiare il numero degli insegnanti nelle scuole dei quartieri difficili. La famiglia di Nahel, il diciassette algerino ucciso, ha presentato denuncia per frode organizzata di gruppo contro Jean Messiha, l’esponente di estrema destra che ha organizzato la colletta in favore della famiglia dell’agente che ha sparato e che al momento è agli arresti. La colletta è diventata ormai una sfida aperta, sta sfiorando il milione e mezzo di euro raccolti. L’eurodeputata Manon Aubry che chiedeva di bloccarla l’ha tradotta in “sparare a un arabo conviene”.
È questa aggiunta di provocazione, questo disprezzo esibito verso i protagonisti dei riots la novità nella rivolta in corso rispetto a quelle degli ultimi anni. E forse l’esibizione del disprezzo, la protervia di chi si schiera a difesa di chi spara non sono estranee al fatto che la protesta non è stata solo nelle banlieu delle grandi città ma anche in città di provincia, quasi ovunque. Anche in angoli remoti al confine col Belgio, anche in posti lontani dalle metropoli in queste ultime albe sono comparse auto bruciate, negozi distrutti, vetrine saccheggiate. Dai singoli agenti di polizia, non solo da quelli appartenenti ai sindacati di estrema destra che pullulano in Francia, chi ha provato a farsi raccontare qualcosa si sente ripetere quasi solo queste due frasi: “Era ovvio prima o poi qualcosa del genere sarebbe accaduto” e “Devi capire cosa succede quando entri in alcune di queste banlieue, devi essere costantemente teso e vigile, pronto ad essere attaccato in qualsiasi momento. Sembra una zona di guerra”.
Questa espressione “Zona di guerra” è la stessa usata dai due sindacati di polizia francesi che venerdì sera subito dopo la durissima repressione delle prime proteste – con migliaia di arresti, soprattutto di giovanissimi, l’età media dei fermati è di 17 anni – hanno scritto in un comunicato che la polizia è “in combattimento perché siamo in guerra”. L’unico a stigmatizzare l’accaduto è stato il leader della France Insoumise, il 72enne Jean-Luc Mélenchon che ha invitato i sindacati di polizia a tacere e a non incitare a un “comportamento omicida” gli agenti. Muto il capo della polizia.
Semimuto il ministro degli Interni, dice che “siamo in un momento di sorvegliata calma dopo momenti difficili”. Muto Macron che si guarda bene dall’esprimere anche la più vaga raccomandazione alla polizia a non oltrepassare i limiti della legittima difesa: si muove tra corpi militari ferocemente arrabbiati e sull’orlo dell’ammutinamento. Sui loro eccessi non ha aperto bocca dopo essersi lanciato invece in accuse pesanti verso le famiglie dei casseurs, quindi verso individui sconosciuti identificati dal presidente della repubblica solo in base al quartiere in cui vivono.
Con un classismo incendiario in una situazione di rivolta li ha prima invitati a tenere a casa i loro figli e poi ha detto di voler sanzionare i genitori di chi distrugge e incendia. Vuol resuscitare una vecchia legge, la loi Ciotti, abrogata undici anni fa. I partiti alla sua destra se lo stanno cucinando giorno dopo giorno, costringendolo a rincorrerli in un terreno nel quale sanno sempre come sorpassarlo. Éric Ciotti, presidente dei repubblicani che di quella legge è l’ideatore, si è precipitato a presentare in parlamento la sua vecchia idea di cancellare gli assegni familiari ai genitori di ragazzi accusati di partecipare ai riot, sfidando Macron a metterla all’ordine del giorno per approvarla prima del 14 luglio.
Nel frattempo Éric Zemmour, il giornalista di estrema destra diventato politico ed ex candidato alla presidenza, continua a descrivere le rivolte come “i primi spasimi di una guerra civile”. Questa non è la prima volta che Zemmour, e come lui Marine Le Pen, sbandierano che la Francia è a un passo dalla “guerra civile”. Laurent Obertone, giornalista di estrema destra, ha fatto fortuna descrivendo scenari catastrofici di confronto di strada in una trilogia di romanzi. Guérilla, best seller, è lo svolgimento in tre tomi di una guerra civile immaginaria in Francia. La scintilla che fa scoppiare la guerra, la storia del primo libro di Guerilla è l’uccisione di alcuni nordafricani da parte di un poliziotto in un luogo di fantasia a nord di Parigi. Le immagini di una prima rivolta rimbalzate in tutte le tv finiscono per appiccare il fuoco a tutta la Francia.
Nelle scene reali della rivolta di questa settimana, da Marsiglia fino al nord della Francia, oltre alla violenza non episodica della polizia, talmente estesa da sembrare programmata, e oltre alla rabbia di chi vive nei quartieri incendiati che dice “la guerra contro di noi c’è tutti i giorni da anni, noi possiamo essere laureati, lavorare, ma siamo arabi e i poliziotti per questo ci perseguitano”, oltre alla evidente esasperazione di una porzione molto ampia di popolazione soprattutto giovane dell’ideale dall’idea stessa di repubblica francese si sente esclusa con violenza, c’è una gara ad attaccare qualsiasi istituzione pubblica appartenga alla repubblica francese senza distinzione tra stazioni di polizia, uffici delle imposte, scuole. L’altra notte a Metz una grande biblioteca è stata data alle fiamme.