Il caso Qatargate
I disastri di Metsola: piegare il diritto è peggio della corruzione
Su proposta di un’indignatissima Presidente Metsola (democristiana maltese) il “Qatargate” fu subito classificato come il più grande scandalo che abbia mai colpito l’UE e modifiche regolamentari furono introdotte senza troppi dibattiti.
Esteri - di Marco Perduca
La sera del 19 giugno 2023, un comunicato della Procura federale belga faceva sapere che “Nel fascicolo relativo ai sospetti di corruzione all’interno del Parlamento europeo, elementi sono apparsi di recente. Potrebbero sollevare alcune domande sull’obiettivo funzionamento dell’indagine. In via precauzionale e per permettere alla Giustizia di continuare il suo lavoro in serenità e mantenere una necessaria separazione tra vita privata e responsabilità familiari e professionali, il giudice istruttore Michel Claise informa che da questa sera si ritira dal fascicolo. Nonostante l’assenza di elementi effettivi che possano mettere in dubbio la correttezza di ciascuno relatore e il lavoro sostanziale che lui e gli investigatori hanno svolto in questo caso. Un altro GIP, già intervenuto precedentemente nel fascicolo assumerà la direzione delle indagini”.
I, o il, possibile conflitto d’interessi riguarderebbe la partnership commerciale di suo figlio Nicolas comproprietario di un’azienda di cannabis con il figlio di Arena, Ugo Lemaire. Arena era stata evocata all’inizio delle indagini di quello che sarebbe stato chiamato “Qatargate” ma presto scomparsa anche perché scagionata dal capobanda “pentito” Antonio Panzeri. La scoperta del rapporto di lavoro tra i due rampolli è stata fatta da Maxim Töller, avvocato dell’eurodeputato socialista belga Marc Tarabella il quale, conoscendo i suoi polli in Procura, oltre a difendere il suo assistito ha pensato bene di rendere pan per focaccia allo “sceriffo”, come chiamano Claise in Belgio, per toglierselo di torno.
La sera del 18 giugno 2023, come ricordato il 20 scorso sull’Unità da Iuri Maria Prado, l’ex vicepresidente socialista greca del Parlamento europeo Eva Kaili, anch’ella coinvolta nell’inchiesta, faceva causa al PE per violazione della sua immunità parlamentare essendo stata monitorata dai servizi segreti durante il periodo in cui aveva partecipato alla Commissione d’inchiesta sull’uso di Pegasus e altri spyware. Qualche ora prima l’eurodeputato socialista Andrea Cozzolino si ritrovava in stato di fermo a Bruxelles nell’ambito delle medesime indagini dopo esser stato messo sotto torchio per quattro ore dalla Procura.
Il giorno dopo la nuova GIP Aurélie Dejaiffe l’ha rimesso in libertà. Quello che era stato denunciato come il più grande scandalo europeo vede tutti gli indagati a piede libero, o semilibero, e il Procuratore autosospeso. In attesa di nuove rivelazioni – pare che Claise sia un orgoglioso massone – o che una piattaforma televisiva si interessi alla vicenda per produrre una serie liberamente ispirata a fatti realmente accaduti, qualche considerazione politica va però fatta sul Parlamento europeo e chi lo dirige.
Su proposta di un’indignatissima Presidente Metsola (democristiana maltese) il “Qatargate” fu subito classificato come il più grande scandalo che abbia mai colpito l’UE e modifiche regolamentari furono introdotte senza troppi dibattiti. Eva Kaili fu degradata a eurodeputata “semplice” e per poco tutti gli eurodeputati i cui assistenti erano stati coinvolti nelle perquisizioni avrebbero dovuto dimettersi. Il gravissimo scandalo pare però non aver sconfinato l’onesta Europa, tant’è vero che, pur nell’indignazione di un paio di sigle sindacali, a maggio scorso Il ministro del lavoro del Qatar Ali bin Samikh Al-Marri è stato eletto presidente della conferenza annuale dell’Organizzazione internazionale del lavoro.
E pensare che Metsola ha studiato al Collège d’Europe (fondato tra gli altri da Winston Churchill, Paul-Henri Spaak e Alcide De Gasperi, oggi retto da Federica Mogherini e presieduto da Herman Van Rompuy) dove, presumibilmente, si insegnano i più alti standard dello Stato di Diritto internazionale che prevedono che la responsabilità penale sia individuale e non transitiva, e che la presunzione di non colpevolezza non possa comunque esser sacrificata sull’altare dell’immacolata reputazione delle istituzioni europee.
Nel 1999 l’intera Commissione presieduta dal democristiano lussemburghese Jacques Santer fu costretta alla dimissioni – difficile individuare uno scandalo maggiore di quello. Per mesi quella Commissione fu al centro di accuse di corruzione ma, oltre a indignarsi, si pensò bene di lanciare un’indagine indipendente, prevedere una dialettica istituzionale e parlamentarizzare la crisi. Anche se alla fine un solo Commissario fu trovato colpevole, l’intera Commissione si dimise perché i socialdemocratici ritirarono il loro sostegno. A dicembre 2023, in pochi minuti, si sono rivisti alcuni aspetti dell’operatività dell’Europarlamento, previsti registri di incontri con “terze parti” e limitato l’accesso ai locali da chi non ne faceva (più) parte.
In tutto il mondo non esiste piattaforma elettorale che non ritenga la corruzione il cancro della democrazia. Prima ancora del terrorismo o delle mafie (il riscaldamento globale solo da poco rientra nella top 10 e non di tutti i partiti) il problema delle democrazie occidentali e dei regimi autoritari (in Cina si finisce sul patibolo per corruzione) è la lotta alla corruzione politica. C’è chi la ritiene un inevitabile sottoprodotto della gestione del potere e chi, come il giudice Claise, un elemento consustanziale della politica stessa. Malgrado si annuncino pugni duri, inasprimenti di pene o si continuino a creare nuove fattispecie di reati arrivando all’italico “concorso esterno”, la corruzione continua a inquinare il mondo. Ma inquinare non necessariamente vuol dire avvelenare mortalmente.
Il veleno per la democrazia, almeno per quella liberale, è piegare lo Stato di Diritto nel delicato momento della scelta della libertà individuale a convenienze politico-elettorali. Al Parlamento europeo, di fronte a sospetti che toccavano alcune persone interne, si è scelto scientemente di privilegiare l’immagine di rettitudine da condividere a reti unificate piuttosto che assumersi la responsabilità di conoscere prima di deliberare. A giugno 2024 andrebbero lasciati tutti a casa.