La premier cerca alleati
Meloni convince Macron, respingimenti di migranti a pagamento
Meloni ripropone anche a Parigi l’ormai fantomatica “dimensione esterna” contro i flussi migratori: ovvero lager in Paesi terzi finanziati dall’Ue
Editoriali - di Giulio Seminara
Ieri a Parigi è andato in scena il rendez-vous del disgelo e del “pragmatismo” tra Emmanuel Macron e Giorgia Meloni, due leader agli antipodi, soprattutto sull’idea di Europa futura, ma uniti sul sostegno militare all’Ucraina e capaci di temporanee alleanze in nome degli “interessi convergenti dei due Paesi” sull’immigrazione, leggasi Tunisia, e sulla riforma del Patto di Stabilità, leggasi fronte pro-crescita e anti-Berlino.
D’altronde con il Consiglio europeo e il vertice Nato alle porte, previsti rispettivamente a fine mese e nella prima metà di luglio, era interesse di entrambi i giocatori portarsi a casa un pre-accordo tra cugini su alcuni punti caldi. La presidente del Consiglio ha fatto ieri pomeriggio il suo esordio all’Eliseo dopo mesi di tensione tra i due governi nazionali a causa della politica migratoria messa in campo dall’esecutivo italiano e fortemente contestata dalla leadership francese, con il ministro dell’Interno Gérald Darmanin in testa.
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Una distanza politica acuita dalla storica vicinanza ideologica di Marine Le Pen, acerrima rivale dei macroniani, all’attuale corso di Palazzo Chigi, e a Matteo Salvini in particolare. Il vertice di Meloni con Macron è stato frettolosamente organizzato dopo che la premier ha deciso di partecipare all’Assemblea generale del Bureau International des Expositions, svoltasi ieri alle porte di Parigi, per presentare personalmente la candidatura di Roma a città ospitante dell’Expo 2030, in contrapposizione a Riad (Arabia Saudita, data per favorita), Busan (Corea del Sud) e Odessa, caldamente sponsorizzata dall’Ucraina ma probabilmente sprovvista degli standard necessari per proseguire il percorso da candidata fino alla fase finale prevista per fine novembre.
Meloni ha detto ai delegati del Bie che scegliere Roma come città ospitante significa “costruire un percorso di progresso per la comunità internazionale, mostrare che gli obiettivi per il millennio possono essere raggiunti e che il rapporto tra le persone e il loro ambiente può essere essere davvero migliorato lavorando insieme”. Nella retorica agonistica anche la chiosa “scegliete Roma, portiamo insieme la storia nel futuro”. Più tardi Meloni e Macron hanno celebrato all’Eliseo il punto stampa, prima di iniziare il loro primo bilaterale ufficiale. Il padrone di casa ha esordito esprimendo il suo cordoglio per la scomparsa di Silvio Berlusconi e poi ha rivendicato la collaborazione italo-francese nella realizzazione del sistema anti-missile Samp-T, “dispiegato e operativo in Ucraina” e “esempio concreto di quello che la Francia e l’Italia possono fare insieme”.
La premier si è detta “fiera” di questo risultato tecnologico-militare e ha rilanciato la sintonia con Parigi sul sostegno militare a Kiev, affermando inoltre che “gli ucraini stanno difendendo anche la nostra libertà”. I due leader sembrano convergere anche sull’immigrazione. Macron attacca l’Unione affermando che “non c’è una buona politica migratoria europea” e contesta l’assenza di una “politica coerente di difesa delle nostre frontiere comuni”. A pochi giorni dalla tragedia costata la vita a chissà quanti migranti al largo della Grecia e nella semi-indifferenza generale, il capo di stato francese rilancia quindi la nuova linea dura di difesa delle frontiere ed evoca “un coordinamento nelle relazioni con i Paesi di origine e di transito”, come la “Tunisia”.
In pratica si insiste sui cosiddetti “Paesi sicuri” ai quali scaricare migranti in cambio di soldi e partnership speciali. Come la Tunisia, attualmente governata col pugno di ferro dall’autocrate Kais Saied. Musica per le orecchie di Giorgia Meloni: “Condividiamo una sensibilità comune sul Mediterraneo, in particolare su Tunisia e Libia, rispetto alle quali lavoriamo con obiettivi convergenti”. L’obiettivo convergente è la riduzione del numero di sbarchi nei due paesi e questo vale l’accordo con i libici e la sua controversa guardia costiera o con dittatori come Kais Saied, da entrambi i leader sostanzialmente difeso in sede europea e di Fmi al fine di scongelare i miliardi di prestiti agevolati per la Tunisia in crisi economica e soggetta a un boom migratorio.
Meloni lo dice con chiarezza: “Siamo d’accordo che si debbano fare passi concreti rispetto alla difesa della dimensione esterna”. Passi concreti e cinici. Un altro punto di sintonia tra Palazzo Chigi ed Eliseo riguarda la riforma del Patto di Stabilità, con i due presidenti alleati contro la linea rigorista della Germania e del Paesi del Nord. Meloni è chiara: “Non possiamo consentire che tornino parametri che oggi sarebbero assolutamente inadeguati: la sfida è una governance incentrata sugli investimenti”.
I due leader vogliono scorporare dal Patto e dalle annesse restrizioni di bilancio gli investimenti legati al Pnrr, al digitale, al Green e all’energia. Kiev, Tunisia e l’antirigorismo economico sono quindi le basi del disgelo, anche se una vera pratica del Trattato del Quirinale ancora non c’è. E probabilmente non ci sarà da qui fino alle prossime elezioni europee, quando Meloni sarà nei fatti la principale rivale di Macron e insieme a conservatori e ad alcuni pezzi di popolari e liberali proverà a ribaltare l’Unione.