Ceffoni anche da Berlino
Ceffoni di Scholz a Meloni: i profughi vengono in Germania
La premier si lamenta: «Salviamo vite in solitudine». L’ospite tedesco: «Abbiamo accolto un milione di ucraini e 240mila rifugiati da altri Paesi»
Politica - di Giulio Seminara
Tornando a Berlino Olaf Scholz ha probabilmente ripensato all’editoriale di Der Spiegel che gli consigliava di «non sottovalutare il pericolo rappresentato da Giorgia Meloni», una «politica a due facce». E si sarà poi chiesto con quale “faccia” ha davvero interloquito, se con la pragmatica partner internazionale o con la temibile rivale che ribalterà l’Unione europea spostandola a destra.
La discussione di ieri a Palazzo Chigi tra i due leader con i dossier migranti, riforma del patto di stabilità e scambi energetici, non ha fugato i dubbi, al contrario irrobustiti dalla contemporanea presenza, a distanza di poche centinaia di metri, del presidente del Ppe Manfred Weber, il teorico dell’alleanza tra popolari e conservatori in chiave ribaltone a Bruxelles, ospite del vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani a una kermesse di Forza Italia alla Camera. D’altronde dopo la maggioranza Ursula a destra si sogna la maggioranza Giorgia.
A Roma il cancelliere tedesco e la Presidente del Consiglio hanno lanciato il Piano d’azione tra Italia e Germania, che nelle parole della premier «renderà ancora più regolare e intenso il nostro dialogo e ci permetterà di lavorare con un approccio pragmatico su molti temi che sono di importanza fondamentale per il futuro delle due nazioni». Il Piano, ereditato dal governo Draghi, ricalca in buona parte il Trattato del Quirinale sull’asse Roma-Parigi, e secondo Meloni tratterà di «innovazione, ricerca, sviluppo, mercato del lavoro, coesione sociale, crescita ecologicamente sostenibile e protezione del clima», sia in chiave bilaterale sia come coordinamento delle posizioni dei due paesi in ambito internazionale.
Ma il precedente trattato con la Francia insegna che ogni patto tra Paesi risente delle congiunture politiche, dei rapporti tra i rispettivi governi, e la strada che conduce alle elezioni europee dell’anno prossimo sarà inevitabilmente lastricata da tensioni di natura pre-elettorale.
D’altronde, nonostante il clima cordiale, le divergenze tra Meloni e Scholz restano e sotto traccia emergono. Come sull’immigrazione. Ieri la premier ha richiesto il sostegno all’Italia sugli sbarchi: «La Germania sa che senza l’Italia e le nazioni di frontiera è molto più difficile avere una politica migratoria migliore di quella attuale».
Secondo lei bisogna «superare le differenze tra migrazioni primarie e secondarie», affrontare «il tema dei confini esterni» e «combattere il traffico di esseri umani». L’obiettivo è il superamento del regolamento di Dublino in favore «dei paesi maggiormente sotto pressione». Il cancelliere ha usato toni soft e ha chiesto di non percorrere battaglie solitarie, perché «le sfide della migrazione e dei rifugiati la possiamo superare solamente assieme nell’Ue» e «scaricare i problemi su altri sono tentativi destinati a fallire». Inoltre non ha legittimato la lettura di un’Italia lasciata da sola ad accogliere tutti gli immigrati d’Europa citando qualche dato: «In Germania abbiamo accolto un milioni di ucraini e oltre 240mila da altri Paesi, di cui l’80% non erano registrati».
Meloni e Scholz hanno parlato anche della Tunisia. La premier domenica mattina tornerà dal capo di Stato tunisino Kais Saied insieme alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e al primo ministro olandese, Mark Rutte, «per aprire sul piano europeo a una cooperazione che serve ad aiutare una nazione oggi in difficoltà, una destabilizzazione avrebbe gravi ripercussioni su tutto il Nord Africa che arriverebbero inevitabilmente anche da noi». E per mediare sul braccio di ferro tra Tunisi e Fmi sui 1,9 miliardi di dollari di aiuti.
Una divergenza tra i due leader c’è anche sulla riforma del patto di Stabilità. Ieri Meloni ha invocato «un nuovo patto che guardi alla crescita» perché «la competitività europea ha bisogno di essere sostenuta da regole adeguate, da regole fiscali che assicurino flessibilità». Ma il cancelliere ha una linea diversa e più “frugale”, sostanzialmente condivisa con il suo ministro delle finanze e falco rigorista, il liberale Christian Lindner. Infatti al Corriere della Sera ha chiaramente detto che nell’Unione ci vuole «stabilità fiscale, regole chiare rispettate e un quadro comune trasparente». I soldi sono stati centrali nell’incontro di ieri. I due governanti hanno spinto sull’accordo industriale tra Ita e Lufthansa con la premier che l’ha definito una «testimonianza di quanto gli interessi nazionali» di Italia e Germania «possano essere convergenti anche sul piano strategico».
Una bella svolta rispetto alle recenti battaglie della destra per salvaguardare “la compagnia di bandiera” contro la sua vendita ad aziende straniere. Nel vertice si è parlato diffusamente di energia, con Scholz «lieto» per «i lavori sulla pipeline per il gas e l’idrogeno tra l’Italia e la Germania». I tedeschi hanno molto sofferto il forzato distacco dagli approvvigionamenti russi e guardano con interesse e apprensione ai collegamenti energetici che il governo vuole costruire con i paesi del nord Africa nel segno del nuovo “piano Mattei”. Certamente il cancelliere con tempo e fatica ha dovuto fare sua l’agenda Meloni sull’Ucraina: «La compattezza europea è un punto di forza, il presidente russo Vladimir Putin non aveva fatto conti con questo, ha sottostimato l’Europa. Siamo assieme al fianco dell’Ucraina, che appoggiamo con le armi, con l’addestramento militare e lo faremo fino a quando sarà necessario».
Scholz ha definito il nostro paese “un partner importante e un amico affidabile, con cui ci sono eccellenti rapporti in Ue, Nato, G7 e G20”. E l’interscambio da oltre 168 miliardi di euro nel solo 2022 rafforza la concordia. Ma chissà se il leader socialdemocratico potrà in futuro davvero definire amica affidabile quella Giorgia Meloni che briga per ribaltare l’Unione e spostarla a destra.