Meloni e i ceffoni quotidiani da Parigi, Macron tende la mano e il suo ministro Darmanin attacca: altro che disgelo
Editoriali - di Luca Casarini
Una delle teorie più gettonate rispetto ai flussi migratori, è quella del loro uso strategico da parte di “nemici della nazione” occulti e variamente assortiti. Per il ministro Lollobrigida può essere Soros, da sempre accusato dalla destra estrema di operare per la “sostituzione etnica” in Occidente. Per il ministro Crosetto è la Wagner di Putin. Ad un certo punto per la Presidente del Consiglio era legittimo pensare che persino la Francia di Macron, avesse interesse nel destabilizzare l’Italia attraverso provocazioni e schermaglie come quella esplosa sulla vicenda della nave del soccorso civile “Ocean Viking”, respinta dal governo Meloni con il suo carico di naufraghi del Mediterraneo centrale e finita a Tolone, a mille miglia dal punto di soccorso e in spregio al diritto internazionale. L’Italia isolata in Europa. Esclusa dal Club Méditeranée di Bruxelles. E’ cominciata lì la telenovela MM (Macron-Meloni) e il dossier migranti è sempre stato il casus belli. Ieri si è aggiunta una nuova puntata: «Macron tende la mano all’Italia: Roma non può essere lasciata sola di fronte alla pressione dei flussi migratori» titolavano le agenzie dopo una dichiarazione del capo dell’Eliseo a Reyjkjavik per il Consiglio d’Europa. Il disgelo, la cortesia, il riavvicinamento.
I destri ci vedono la riscossa, gli altri il pericolo momentaneamente scampato. Ovviamente i migranti, cioè le donne, gli uomini e i bambini che quotidianamente vedono violati i loro diritti e la loro dignità ai confini di ogni Paese europeo, nulla c’entrano. Loro sono prove viventi del vuoto culturale e strategico che affigge l’Europa senza politica, nemmeno quella per affrontare con umanità ed efficacia il fenomeno strutturale delle migrazioni.
E Francia e Italia, telenovela a parte, sono in prima fila. Quell’uso politico dei migranti di cui parlano le teorie complottiste, si rivela dunque non come il frutto di una guerra asimmetrica scatenata da nemici occulti, ma più banalmente, e tragicamente, come lo strumento principe della campagna elettorale permanente di ognuno. La ricerca del consenso interno e i posizionamenti in vista delle prossime elezioni europee, sono certamente motivazioni più plausibili per spiegare i balletti tra Roma e Parigi.
Lo dimostra il controcanto che a Macron fa il suo ministro degli Interni Gerald Darmanin, che mentre il suo presidente tendeva la mano a Meloni, ha dichiarato in una intervista a France Inter che quando fai promesse sconsiderate, quando sei membro dell’estrema destra – e la signora Meloni non è francamente una progressista di sinistra – ti rendi conto che la realtà è più dura‑ – riferendosi alla propaganda anti migranti della presidente italiana. Ma è il seguito che chiarisce: Le Pen e Meloni non hanno un buon modello da proporre. Darmanin, il poliziotto numero uno di Francia, poi spara i numeri: “Abbiamo aumentato noi le espulsioni, del 18%. E anche i respingimenti, del 14!”.
Come dire, siamo noi, non la destra, ad avere le soluzioni. Questo siparietto spiga tre cose: la prima è che questa diplomazia dei tweet, delle foto opportunity e delle vuote frasi ad effetto, di guerra o di pace, rappresentano ahimé solo lo spazio che occupa la propaganda in un vuoto cosmico rappresentato dall’assenza della politica vera (che non è propaganda e non serve a far votare i candidati di turno, ma a dare risposte ai soggetti in carne ed ossa, e nel caso dei migranti e rifugiati, ad evitare che muoiano in mare o marciscano in campi di concentramento).
La seconda è che, come in tutte le telenovelas, non succede mai qualcosa di irreparabile: una volta si odiano la volta dopo si amano. Nessuno vuole uscire dal Club Méditerranée. La terza è che finchè qualcuno non avrà il coraggio e l’onestà di proporre delle vere alternative, anche coloro che sembrano agli antipodi, Darmanin e Le Pen e Meloni, in realtà dovranno rivendicare di aver fatto meglio dell’altro, sullo stesso programma. In questo caso chi respinge ed espelle più migranti. Ma d’altronde Darmanin, non è lo stesso che in questi mesi ha gestito la durissima repressione nelle piazze francesi contro il movimento che protestava per l’ennesimo allungamento dell’età pensionabile? Si, a Reykjavik forse c’è disgelo. Ma a causa del climate change.