Strage nell’Egeo, la legge dice di salvarli: è una gigantesca omissione di soccorso
Le “preoccupazioni” espresse dalle istituzioni Ue sono stucchevoli. L’Europa deve organizzare un piano di soccorso in mare. Ma non lo farà
Editoriali - di Gianfranco Schiavone
Sappiamo tutto ciò che di importante c’è da sapere nel naufragio del peschereccio partito dalla Libia ed affondato a 47 miglia nautiche a sudovest di Pylos, nel Peloponneso. Sappiamo che era stato avvistato da tempo (almeno due giorni) e più volte, sia da un aereo di ricognizione di Frontex, sia da unità navali della marina greca, sia da navi commerciali. Sappiamo delle condizioni di pericolo imminente di naufragio in cui si trovava l’imbarcazione, ma sappiamo anche che nessuna operazione di ricerca e soccorso è stata attuata e che la strage, di fatto annunciata, si è infine consumata.
La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (Convenzione UNCLOS) impone ad ogni Stato costiero l’obbligo di “…promuovere l’istituzione, l’attivazione ed il mantenimento di un adeguato ed effettivo servizio di ricerca e soccorso relativo alla sicurezza in mare e, ove le circostanze lo richiedano, di cooperare a questo scopo attraverso accordi regionali con gli Stati limitrofi”. [Art. 98 (2)] . Inoltre la Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 (Convenzione SOLAS) richiede agli Stati “di garantire che vengano presi gli accordi necessari per le comunicazioni di pericolo e per il coordinamento nella propria area di responsabilità e per il soccorso di persone in pericolo in mare lungo le loro coste.” (Capitolo V, Regolamento 7).
La stessa Convenzione SOLAS obbliga, senza distinzioni, il “comandante di una nave che si trovi nella posizione di essere in grado di prestare assistenza, avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo in mare, a procedere con tutta rapidità alla loro assistenza, se possibile informando gli interessati o il servizio di ricerca e soccorso del fatto che la nave sta effettuando tale operazione…” [Capitolo V, Regolamento 33(1). Infine la citata convenzione UNCLOS all’articolo 98 paragrafo 1 dispone che “Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri: a) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo; b) proceda quanto più velocemente possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa”.
Il diritto internazionale è dunque chiaro: l’obbligo di soccorso è inderogabile e deve essere sempre tentato, da qualsiasi nave, qualunque sia la fonte dell’informazione sull’imbarcazione in stato di pericolo e qualunque sia la condizione giuridica dei naufraghi. Appare dunque priva di senso, ed anzi offensiva verso i morti, la ricostruzione dei fatti che, stando alle fonti di stampa, viene attribuita alla guardia costiera greca, ovvero che il peschereccio sarebbe stato affiancato da due motovedette greche, ma che gli occupanti non avrebbero chiesto assistenza perché era loro intenzione di proseguire verso l’Italia.
Non si comprende con chi, tra i disperati che stavano a bordo ma munito di adeguato potere decisorio, la guardia costiera greca avrebbe interloquito per giungere a tale conclusione auto-assolutoria del suo mancato soccorso, il quale era dovuto non sulla base del rispetto di una non prevista procedura di richiesta di aiuto che è stata più o meno non formulata, ma sulla base di un obbligo che deriva dalla sola verifica della condizione di distress, ovvero di reale pericolo dell’imbarcazione, condizione che sussisteva con una evidenza che nessuno ha potuto smentire.
L’obbligo (e non già una scelta opzionale) che incombe sugli Stati nel predisporre un servizio di ricerca e soccorso deve essere, come si è visto “adeguato ed effettivo” alla realtà dei fatti. L’aumento delle migrazioni forzate verso l’Europa non ha modificato l’obbligo di rispettare tali norme e dunque la risposta della UE e degli stati rivieraschi, tra cui l’Italia e la Grecia, dovrebbe essere quella di organizzare un servizio di ricerca e soccorso ampio e strutturato che risponda alle esigenze reali, a prescindere dalle cause delle migrazioni. Di come capire le migrazioni e regolarle ci si dovrebbe occupare senza pregiudizio alcuno del rispetto, hic et nunc, dell’obbligo di soccorso.
Ciò tuttavia da tempo non avviene, in Grecia prima di tutto, ma anche a Malta, in Italia e altrove, ed è a questa mancanza colpevole che cercano di porre un piccolo argine le organizzazioni umanitarie, tanto odiate dai governi in carica, in Italia e soprattutto in Grecia. Odiate ed avversate perché sono lì a ricordarci i nostri obblighi etici e giuridici di cui molti si vorrebbero sbarazzare. Ciò che è accaduto con il mancato soccorso del peschereccio è dunque a tutti gli effetti una gigantesca omissione di soccorso per il quale sarebbe necessaria l’apertura di un’inchiesta giudiziaria che sappia risalire alla catena delle responsabilità, analogamente a quanto sarebbe necessario fare in relazione alle agghiaccianti operazioni di pianificato abbandono in mare dei naufraghi condotte con sistematicità dalla guardia costiera greca, svelate dal New York Times (è significativo che l’inchiesta non sia stata condotta da parte della stampa europea) e di cui abbiamo parlato nella edizione del 21 maggio dell’Unità. Di tali inchieste giudiziarie non abbiamo notizie mentre finora sappiamo solo che la procura greca indaga alla ricerca di scafisti tra i sopravvissuti.
Se le istituzioni europee vogliono essere custodi dei Trattati e soprattutto quindi della costruzione dell’Unione Europea “sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani” (Trattato di Lisbona art. 1bis) devono cessare di esprimere generiche quanto stucchevoli “preoccupazioni” per quanto accaduto in questo come in altri naufragi, o ancora una volta indirizzare il discorso verso il contrasto al traffico di esseri umani, strategia logora usata per spostare l’attenzione su un terreno che nulla ha che fare con il mancato soccorso.
Come ci ricorda il Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria “qualsiasi misura presa, adottata o applicata (…) tiene debitamente conto della necessità di non ostacolare o modificare: a) i diritti e gli obblighi degli Stati costieri e l’esercizio della loro giurisdizione, ai sensi del diritto internazionale del mare” (art. 9), tra cui rientra il complesso degli obblighi sul soccorso sopra indicati.
Le istituzioni dell’Unione, a partire dalla Commissione, devono dichiarare subito che dopo il più grande naufragio degli ultimi anni bisogna cambiare pagina per frenare la deriva in cui siamo finiti ed annunciare quindi che l’Europa si impegnerà da oggi ad organizzare un piano europeo di salvataggio e soccorso in mare fornendo agli stati il supporto necessario ma anche chiedendo loro, con rigore, il rispetto dei propri obblighi giuridici. Sappiamo che ciò non avverrà.