Lo scrittore americano
È morto Cormac McCarthy, addio all’ultimo mito vivente della letteratura mondiale
Aveva 89 anni. Il suo ultimo romanzo, "Il Passeggero", era appena uscito in Italia dopo sedici anni di silenzio. I capolavori "La strada" e "Non è un paese per vecchi" diventati grandi film. Le sue pagine avevano forgiato il popolo dei McCarthyani
Cultura - di Redazione Web

C’erano i McCarthyani, come ci sono stati i berlusconiani e i baggisti. Fedeli, quasi un culto. Lettori che per sedici anni avevano aspettato un nuovo romanzo che era arrivato in Italia un anno dopo l’uscita negli Stati Uniti. Alcuni di loro si erano riuniti in alcune librerie, in eventi organizzati da Einaudi, per incontrarsi e parlare de Il passeggero, il ritorno sugli scaffali di Cormac McCarthy, l’ultimo mito della letteratura mondiale. Lo scrittore americano, per alcuni il più grande scrittore in vita, è morto ieri a 89 anni. Lo ha annunciato il suo editore statunitense, Penguin Random House. “Solo la vita e la morte – diceva – sono degne della letteratura”.
Charles Joseph McCarthy Jr. era nato a Providence, nel Rhode Island, nel 1933. Da una famiglia benestante. Era cresciuto a Knoxville, nel Tennessee rurale. Servizio militare di aviazione, quattro anni nell’Aeronautica militare, per due volte aveva abbandonato l’università. Un primo matrimonio fallito, dal quale era arrivato un figlio, e metà degli anni Sessanta i viaggi in Europa e un nuovo matrimonio. Scrittore schivo e avido di interviste, estraneo agli ambienti letterari della città, invisibile come J. D. Salinger e Thomas Pynchon, una problematica parentesi provata dall’alcolismo. Il primo romanzo, Il guardiano del frutteto, nel 1965. Le prime recensioni già positive. “Da giovane scrittore ha sviluppato una voce narrativa unica che affascina i lettori con la potenza grezza e la bellezza cruda. Con un distintivo mix di umorismo nero, lirismo poetico e onesta implacabile, McCarthy supera i confini e sfida le norme”. Lo considerarono da subito l’erede di William Faulkner. Le vendite però andavano malissimo.
La prima moglie, la poetessa Lee Holleman. La seconda moglie, la cantante Anne De Lisle. Hanno raccontato delle ristrettezze economiche in cui vivevano. “Allora ero molto ingenuo. Ero convinto che in un modo o nell’altro tutto sarebbe andato bene. Ed è stato proprio così. Sono sempre stato molto fortunato. Quando la situazione era particolarmente dura, succedeva sempre qualcosa di assolutamente imprevisto”, ha raccontato nella sua unica intervista televisiva nel 2007, a Oprah Winfrey. McCarthy rifiutava soldi per le conferenze, considerava insegnare scrittura “una truffa”. Ha vissuto anni difficili, da eremita, senza un soldo. Voleva soltanto scrivere. La borsa di studio “dei geni”, il premio della Fondazione MacArthur, arrivò nel 1981. 236mila dollari. All’epoca viveva in un motel. Comprò una casa in Texas, studiò le facce dei cowboy e gli orizzonti delle pianure e delle praterie. Il suo primo bestseller fu Cavalli selvaggi, 1993. Meridiano di sangue è “il western migliore di tutti i tempi” per il critico Harold Bloom, che lo aveva paragonato a Moby Dick.
Il suo capolavoro? Difficile eleggere. Chi dice Meridiano, chi il reietto e joyciano Suttree. La strada, uscito nel 2006, vinse il Premio Pulitzer. Padre e figlio in un mondo disfatto, scenario post-apocalittico. Divenne anche un film di John Hillcoat con Viggo Mortensen, Kodi Smith-McPhee e Charlize Theron. I fratelli Coen portarono sul grande schermo Non è un paese per vecchi, nel 2007, con un indimenticabile Javier Bardem. Premi Oscar al miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura non originale e miglior attore non protagonista. McCarthy, a questo punto ricco e famoso, continuava a vivere da eremita. L’ultimo romanzo, Il Passeggero, primo di una diade che in Italia si completerà con l’uscita nei prossimi mesi del secondo capitolo Stella Maris, è un altro capolavoro. Scritto allo scoccare dei novant’anni. McCarthy negli anni di silenzio si era limitato alla sceneggiatura del film The Counselor di Ridley Scott del 2013.
Il New York Times ha scritto che i suoi romanzi “presentavano una visione cupa, spesso macabra, della condizione umana”. I protagonisti erano “outsider, come lui”. Solitari. Killer, cacciatori di taglie, uomini in fuga, vittime, barboni. La prosa chirurgica alternava dialoghi brillantissimi, descrizioni folgoranti, abissi di terrore e picchi di lirismo. Non ha mai vinto il Premio Nobel per la Letteratura, ogni anno era dato puntualmente tra i favoriti. Era considerato uno dei “Magnifici Quattro” della letteratura americana con Thomas Pynchon, Don DeLillo e Philip Roth. Da anni passava le sue giornate al Santa Fe Institute, dove intrecciava le sue riflessioni alle conoscenze di matematici e fisici. “Ho sempre pensato che si è qui una volta sola, che la vita è breve e che passare ogni giorno a fare quello che altri ti dicono di fare non è il modo giusto di vivere. E non ho nessun consiglio da dare su come farlo, tranne che se ci si impegna a fondo è probabile che ci si riesca”.
Da tempo le sue giornate le passava circondato dai fogli, quelli già scritti e quelli bianchi da scrivere. In Italia gli è stato dedicato un sito internet piuttosto ricco di contenuti. All’uscita de Il Passeggero lo scrittore Diego De Silva, intervenuto per l’occasione alla Ubik di Napoli con Matteo Nucci a inizio maggio, aveva confessato quanto fosse rincuorante sapere che nel mondo, da qualche parte, ci fosse ancora un essere umano come Cormac McCarthy. “La vita è bella anche quando sembra brutta. E dovremmo apprezzarla di più – aveva detto a Winfrey – . Dovremmo essere riconoscenti. Non so a chi, ma dobbiamo essere riconoscenti per ciò che abbiamo”. Resteranno i capolavori, continueranno ad esserci i McCarthyani.