Governo e democrazia

Meloni trasforma l’Italia nell’Ungheria di Orban: mette la museruola ai poteri di controllo

Gli organi di garanzia non traggono legittimazione dagli elettori ma dal rispetto dello Stato di diritto

Editoriali - di Salvatore Curreri

2 Giugno 2023 alle 10:30

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Meloni trasforma l’Italia nell’Ungheria di Orban: mette la museruola ai poteri di controllo

Tre indizi fanno una prova. Primo indizio. Il Servizio del Bilancio del Senato pubblica a maggio un Nota di lettura in cui segnala alcune criticità del disegno di legge c.d. Calderoli contenente le disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata. Attenzione: non il Servizio studi di un qualunque gruppo parlamentare d’opposizione ma il Servizio del Bilancio del Senato, cioè un ufficio composto da personale di altissima competenza, selezionato in base a criteri meritocratici, che analizza imparzialmente sotto il profilo tecnico-giuridico i disegni di legge più importanti.

Apriti cielo! Rispolverando metafore d’antan taluni membri del governo hanno parlato di “manine” o “manone” che avrebbero permesso la pubblicazione di tale Dossier per mettere in difficoltà il Governo. Eppure da sempre tali studi, benché primariamente destinati alle esigenze di documentazione interna per l’attività degli organi e dei singoli parlamentari, sono messi a disposizione di tutti gli operatori del diritto e, più in generale, di tutti i cittadini che vogliono approfondire determinate tematiche; ciò in piena coerenza con i principi di trasparenza e di pubblicità dei lavori parlamentari.

Secondo indizio. L’Ufficio parlamentare di bilancio solleva rilievi sul disegno di legge delega al Governo per la riforma fiscale, formulando osservazioni sui cambiamenti strutturali che interesserebbero i principali tributi (a cominciare dalla ventilata flat tax) e sulle relative coperture finanziarie. Anche qui: non un servizio studi partigiano ma un Ufficio appositamente istituito dopo il c.d. Fiscal compact composto da tre esperti di comprovata competenza in materia economica e finanziaria a livello nazionale ed internazionale che opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio per permettere alle Camere una valutazione autonoma dei disegni di legge in materia finanziaria, svincolata da quella della Ragioneria generale dello Stato che fa capo al Governo. Anche in questo caso reazioni scomposte da parte del Governo contro burocrati che si permettono di opporsi all’azione di governo.

Terzo indizio. La Corte dei conti si permette di formulare osservazioni sulle “vischiosità di attuazione” del Pnrr e sulle conseguenti responsabilità erariali dei corrispondenti dirigenti, provocando l’irritazione dapprima del ministro per gli affari europei Fitto e poi dell’intero governo, che accusa i giudici contabili di esorbitare dalle loro funzioni (da esercitare “in silenzio”) allo scopo di “fare politica”. Da qui la presentazione in Commissione alla Camera di un emendamento al decreto legge sulla Pubblica amministrazione (quindi eterogeneo rispetto alla materia trattata) per eliminare il “controllo concomitante” della Corte dei conti sui progetti previsti o finanziati dal Pnrr, quale fattore di ritardo per la “messa a terra” del Pnrr.

È vero che si tratta di una forma di controllo ulteriore rispetto a quella preventiva di legittimità sugli atti amministrativi del Governo e successiva sulla gestione del bilancio statale, introdotta solo nel 2009 e riferita specificamente nel 2020 ai principali progetti di sostegno e rilancio dell’economia nazionale. Ma è pur vero che si tratta di una forma di controllo che, in un’ottica di leale collaborazione, mira a segnalare tempestivamente possibili criticità e che permette al Parlamento, e segnatamente alle opposizioni, di avere dati oggettivi e circostanziati quanto mai utili per la verifica dello stato di attuazione dei progetti del Pnrr per svolgere la sua funzione di controllo e critica nei confronti del Governo.

Se è vero, come detto all’inizio, che tre indizi fanno una prova, allora le puntuali reazioni del Governo ogniqualvolta un organo di controllo, nell’esercizio delle sue funzioni, si permette di fare osservazioni sul suo operato dimostrano una certa sua insofferenza verso i limiti che l’esercizio del potere politico in democrazia deve incontrare per non trasformarsi in dittatura della maggioranza. Limiti, dunque, che non costituiscono illegittimi “lacci e lacciuoli” al libero esplicarsi dell’azione di governo in nome del programma politico voluto dal popolo sovrano (in realtà dalla loro maggiore minoranza…).

Sovranità che appartiene sì al popolo ma va esercitata sempre nelle forme e nei limiti della Costituzione, come chiarisce subito il suo primo articolo, onde evitare abusi e derive autoritarie. Come intuito fin dal 1748 da Montesquieuogni uomo che ha in mano il potere è portato ad abusarne, procedendo fino a quando non trova dei limiti”; per questo motivo “perché non si possa abusare del potere, bisogna che il potere limiti il potere”. Per questo, in democrazia, accanto agli organi politici ad elezione diretta vi sono organi di controllo e di garanzia che traggono la loro legittimazione non dagli elettori ma dalla tutela dello Stato costituzionale di diritto. E non è affatto causale che sono propri tali organi – come i giudici ordinari e costituzionali – ad essere oggi sotto attacco in quei paesi, come l’Ungheria e la Polonia, dove vige una concezione assoluta del potere politico della maggioranza.

Stiamo esagerando? Speriamo. Fatto sta che gli episodi sopra segnalati si inseriscono in un processo più ampio e risalente in cui, anche a causa della radicalizzazione del confronto politico, le maggioranze di governo avvertono con più o meno malcelato fastidio gli interventi delle istituzioni di garanzia, quando contrari a propri interessi o alla propria linea politica. Ad esempio, come non ricordare il decreto che ha prorogato le concessioni demaniali in contrasto con quanto deciso dal Consiglio di Stato? Sono inoltre almeno dieci anni che il Presidente della Repubblica segnala l’abuso della decretazione d’urgenza, in termini sia di numero che d’estensione di materia (come esattamente nel caso peraltro dell’eterogeneo emendamento teso a limitare le competenze della Corte dei Conti), senza che al dovuto formale ossequio e alle reiterate promesse siano seguiti fatti concreti.

Lo stesso dicasi per la prassi delle questioni di fiducia poste sui maxi-emendamenti che insteriliscono il dibattito parlamentare. E che dire della velata insofferenza con cui viene avvertito il ruolo della Corte costituzionale, specialmente quando si permette di rivolgere moniti al legislatore su temi fondamentali che non incontrano il favore di questa maggioranza, come il cognome dei figli, lo status giuridico dei figli di coppie omosessuali che hanno fatto ricorso all’estero alla fecondazione eterologa o alla maternità surrogata; le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza per i malati di mente, l’aiuto al suicidio; la pena carceraria per i giornalisti?

Al di là degli specifici episodi va avvertita dunque con una certa preoccupazione la tendenza dell’attuale maggioranza a considerare gli interventi delle istituzioni di controllo e garanzia non come forme di leale collaborazione volte a segnalare e risolvere tempestivamente possibili criticità ma come indebite ingerenze opposte al recondito fine di ostacolare l’azione di governo.

Non è certo questo il miglior viatico per affrontare il tema delle riforme istituzionali che dovrebbero essere giustappunto ispirate al principio dell’equilibrio dei poteri e che invece non a caso pare oggi interamente concentrarsi sul (condivisibile) rafforzamento dei poteri del Governi, tralasciando però il parallelo rafforzamento dei contropoteri, attraverso ad esempio il superamento delle attuali cattive prassi che oggi mortificano il ruolo del Parlamento, il varo in tal senso di un serio statuto dell’opposizione e lo scongelamento del referendum abrogativo. Ci ritorneremo.

2 Giugno 2023

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