L'invio di armi in Ucraina
Come il Pnrr pensato per modernizzare è diventato un fondo per fare la guerra
Dovevano essere i fondi che avrebbero modernizzato i paesi del Vecchio continente. Sono diventati i fondi per fare la guerra
Editoriali - di Sabrina Pignedoli
Dovevano essere i fondi che modernizzavano l’Italia, e il resto d’Europa, investendo in innovazione tecnologica e transizione verde. Alla fine sono diventati i fondi per fare la guerra, andando esattamente nella direzione opposta a quella per cui erano stati pensati. Soldi, ricordiamo, che solo in parte sono a fondo perduto, gli altri sono debiti che dovranno essere restituiti. Vogliamo veramente ipotecare il futuro dei nostri figli in questo modo, lasciando loro da un lato una voragine nei conti e dall’altro un continente militarizzato?
Le istituzioni europee sono nate, dopo la distruzione della Seconda guerra mondiale, anche per garantire la pace. Nella guerra in Ucraina l’Europa dovrebbe svolgere un ruolo chiave per cercare una strada diplomatica per la risoluzione del conflitto, prima di tutto per il bene della stessa popolazione ucraina. Invece ieri al Parlamento europeo si è votato un regolamento d’urgenza per poter utilizzare i fondi del Pnrr per gli armamenti. Per altro, nel provvedimento viene prevista una preoccupante deroga ai diritti dei lavoratori per intensificare la produzione: un passaggio gravissimo, che usa la guerra per retrocedere nelle tutele fondamentali.
La mancanza di iniziative che possano condurre a un negoziato, a una tregua e alla cessazione della guerra non fanno che rafforzare le prospettive di crescita delle aziende produttrici di armamenti, che d’ora in avanti avranno anche la garanzia di solvibilità dell’Unione Europea. Un motivo in più per non intraprendere alcuna iniziativa volta a fermare l’escalation. Una follia che instrada sempre più l’Europa nella via della militarizzazione, tralasciando per altro il rischio che queste armi vadano a finire nelle mani sbagliate. L’Unione Europea si è veramente posta la domanda su dove vanno a finire effettivamente queste armi?
Nelle mani di chi? Pensiamo, solo per fare un esempio, all’aereo ucraino carico di armi che, nel luglio scorso, si è schiantato in Grecia ed era diretto in Bangladesh. O ai gruppi filonazisti che vengono armati perché attualmente partecipano alla difesa dell’Ucraina, senza parlare del contrabbando e dei possibili interessi delle mafie. Non vale nemmeno più il discorso della difesa dell’Ucraina dall’invasione russa, perché la linea militarista europea non riguarda solo quel conflitto: il rappresentante dell’Ue per gli affari esteri Josep Borrell su questo punto è stato molto chiaro.
Nei mesi scorsi, a chiusura del Forum sulla sicurezza, in un discorso passato sotto traccia, nonostante la gravità delle sue affermazioni, Borrell ha esplicitamente dichiarato che le missioni europee non saranno più solo di addestramento del personale militare degli altri Stati, ma prevederanno anche la fornitura degli armamenti. E i primi Stati beneficiari di questa strategia saranno Somalia e Niger a cui verranno inviati “armamenti letali”.
Forse in paesi come quelli, dove l’amico di oggi è il nemico di domani e l’apparato statale è talmente diafano da faticare a riconoscerne l’esistenza, mandare armi non è la scelta vincente per “pacificare” l’area. Anche perché sono anni che Somalia e Niger sono dilaniati dalla guerra e la popolazione soffre fame e violenze: mandare altre armi può solo alimentare i conflitti. Avevo un’idea dell’Europa come di un’istituzione che puntava allo sviluppo dei popoli, alla tutela dei diritti fondamentali e dello stato di diritto, avevo un’idea di un’Europa che nel 2023 sapesse usare la diplomazia e non solo la forza. Evidentemente mi sbagliavo.
*Parlamentare europea M5S