Il via libera dei dem

Armi dell’Europa a Kiev, flop del Pd che dice sì ma si spacca

La leader dem ha scelto di non scegliere. Ha lasciato libertà di scelta al gruppo nell’europarlamento, sapendo perfettamente che la maggioranza avrebbe votato a favore della proposta ma facendo in modo, di non assumersene la responsabilità

Editoriali - di David Romoli

2 Giugno 2023 alle 11:00

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Armi dell’Europa a Kiev, flop del Pd che dice sì ma si spacca

Il voto dei ballottaggi ha chiarito anche ai più illusi che le difficoltà immense del Pd non sono state risolte per magia dall’arrivo di Elly Schlein. L’incresciosa sceneggiata allestita ieri dal gruppo del Pd al Parlamento europeo sulla legge per le munizioni a Kiev illustra perfettamente quali sono i nodi non sciolti e anzi più che mai aggrovigliati.

A Bruxelles si votava la legge presentata dal commissario per il Mercato interno Thierry Breton che permette agli Stati di attingere al Pnrr e al Fondo di coesione per finanziare la produzione di munizioni per Kiev ma anche il rafforzamento dell’esercito. Presentata poche settimane fa, la legge, grazie alla procedura d’urgenza votata dal Parlamento europeo Pd incluso, procede a passo di carica. Quello di ieri non è ancora il voto definitivo, fissato invece per luglio a Strasburgo. Si trattava comunque dello snodo decisivo.

Per il Pd di Elly Schlein, che si è più volte dichiarato del tutto contrario all’uso del Pnrr per le armi, il passaggio era molto delicato e non si può dire che il partito di Elly sia uscito a testa alta dalla prova. Lo scudo messo a punto dalla segretaria con gli europarlamentari era di cartapesta e non poteva servire a niente: una nutrita serie di emendamenti che proibivano di fatto lo storno delle risorse dal Pnrr alle fabbriche di armi e che l’intero gruppo del Pse, Socialisti e Democratrici, aveva fatto proprio. Ma tutti sapevano che quegli emendamento sarebbero stati affossati uno per uno e così è stato. Bisognava dunque decidere se votare la legge non emendata, come il resto del gruppo europeo, oppure smarcarsi.

A quel punto la leader ha deciso di non essere leader, ha scelto di non scegliere. Ha lasciato libertà di scelta al gruppo nell’europarlamento, sapendo perfettamente che la maggioranza avrebbe votato a favore della proposta ma facendo in modo, grazie al pilatesco incidente, di non assumersene la responsabilità. Di fatto la Schlein ha marcato il dissenso dal suo gruppo. Non a caso tra i 6 eurodeputati su 16 che non hanno appoggiato la legge c’è Camilla Laureti, l’unica dell’intero gruppo schierata con Schlein invece che con Bonaccini al congresso. Gli altri “dissidenti” sono l’ex medico di Lampedusa Pietro Bartolo, l’ex sindaco di Vicenza Achille Variati e l’ex magistrato Franco Roberti, tutti astenuti, Giuliano Pisapia, che non ha partecipato al voto e Massimiliano Smeriglio, l’unico ad aver votato apertamente contro come già nel caso della procedura d’urgenza.

Smeriglio, comunque, preferisce guardare il bicchiere mezzo pieno: “Rispetto al voto sull’urgenza il dissenso è aumentato e lavoriamo per ribaltare il risultato nel voto finale, a luglio. Questo è un atto sbagliato che riarma 27 eserciti con i soldi delle politiche sociali e dà a Meloni un assegno in bianco per quanto riguarda il Pnrr”. In realtà la premier, nelle scorse settimane, aveva sempre garantito che il governo non avrebbe pescato nel Piano per finanziare munizioni e riarmo. Ieri però la questione era in discussione anche alla Camera, nel question time, e il ministro Fitto è stato meno tassativo: “L’uso dei fondi Pnrr per le armi a Kiev non è all’ordine del giorno”. La realtà è che nelle file della maggioranza una certa pressione per fare domani quel che non è all’odg oggi c’è. Tanto più a fronte della sempre più palese incapacità di spendere i miliardi del Pnrr.

L’intera faccenda rivela nel modo più impietoso la situazione della segretaria. Se anche avesse voluto difendere la sua posizione e dare coerente seguito a quanto proclamato sino all’ultimo, molto semplicemente gli eurodeputati non la avrebbero seguita, avrebbero votato comunque per la proposta di Thierry Breton. In una simile condizione la segretaria non poteva fare altro che quel che ha fatto: non assumersi la responsabilità diretta del voto, far emergere le proprie perplessità e poi insistere per impedire al governo di fare quel che la legge votata dal Pd gli permetterà di fare, salvo colpi di scena a luglio.

Ma se la posizione di Schlein era quasi obbligata, è anche estremamente debole. Le aree in cui il partito è diviso, le correnti, hanno nascosto le armi per qualche mese dopo la sorpresa dell’elezione dell’outsider ma non le hanno mai deposte. E iniziano a ritrarle fuori. La premier non ha colto l’occasione per battere in breccia subito dopo la sua vittoria, quando nessuno avrebbe osato contrastarla. Ora, tanto più dopo le amministrative, è molto più debole e le bande riprendono baldanza. Senza un colpo di reni non tra qualche mese o anno ma subito, non ci vorrà molto prima che la segretaria si scopra ostaggio delle correnti.

2 Giugno 2023

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