La batosta alle comunali

La parabola di Elly Schlein: da salvatrice a colpevole finisce nel mirino del Pd

Politica - di David Romoli

31 Maggio 2023 alle 14:00

Condividi l'articolo

La parabola di Elly Schlein: da salvatrice a colpevole finisce nel mirino del Pd

Nel giro di un solo pomeriggio, quello di lunedì, Elly Schlein è passata dalla posizione di intoccabile salvatrice della patria a quella di segretaria traballante. Non ancora un’anatra zoppa ma a rischio di diventarlo presto e certamente non più il totem che è stata dal giorno del voto per la segreteria del Pd a quello dei disastrosi ballottaggi.

Non che ci siano rischi immediati: fino alle elezioni europee la segretaria è più blindata di Fort Knox. Ma se l’esito di quella prova sarà insoddisfacente a spingerla verso la porta d’uscita non sarà solo la minoranza “moderata”, che già ieri ha rialzato di parecchio la testa. Saranno gli stessi capicorrente che l’hanno sostenuta e appoggiata nella sfida per la segreteria: Andrea Orlando e Peppe Provenzano, la sinistra del partito, i dirigenti in qualche misura vicini al regista occulto Bettini.

Al Nazareno, e proprio nelle file di quanti al congresso si sono battuti per la Schlein, già fanno conti sonanti: “Nel 2019 Zingaretti prese in mano il partito nella situazione peggiore della sua storia, dopo un congresso che Renzi aveva voluto lunghissimo, oltre un anno. Un paio di mesi dopo l’elezione a segretario di Zingaretti il Pd, alle europee, superò comunque il 22%”. È una soglia sotto la quale Elly ballerebbe di brutto. Se poi dovesse essere superata in discesa quella del 20% non ci sarebbe più alcuna possibilità di resistere. La segretaria bersagliata è consapevole della sua improvvisa fragilità. Ieri avrebbe dovuto volare a Bruxelles per incontrare i suoi europarlamentari. Ha preferito restare a Roma a presidiare le posizioni e a preparare la Direzione che sarà convocata quasi certamente per la fine della prossima settimana.

Il suo cerchio stretto fa muro, respinge ogni critica. Errori nelle amministrative? “Elly si è insediata il 12 marzo e le liste erano già fatte”, replica il capogruppo al Senato Francesco Boccia, alleato di ferro e quasi king maker. “Non c’è nessun processo a Elly. Le liste erano già fatte quando si è insediata e dove si è stati capaci di creare un’alleanza credibile si è vinto”, rincara Davide Baruffi, responsabile degli Enti locali tirando i capelli alla realtà dei fatti, dal momento che il Pd è stato sconfitto ovunque dove era in coalizione con i 5S. Neppure le accuse di non essersi fatta vedere in alcune circostanze nevralgiche, prima fra tutte l’alluvione in Romagna, turbano il cerchio magico di Elly. “La segretaria è presente dove deve essere, nei luoghi del dolore”, le fa scudo ancora Boccia.

L’assenza in alcune situazioni e il silenzio su alcuni fronti, come la contesa sulla nomina di Bonaccini a commissario per la ricostruzione, sono invece uno dei capi d’accusa più frequentemente ripetuti in queste ore: “La scelta di farsi vedere in tutte le manifestazioni è giusta ma non basta. Se Elly si circondasse di un vero gruppo dirigente si potrebbero articolare le presenze e lei si potrebbe occupare di prendere posizione sul tema centrale della giornata”. Nella proposizione di cui sopra, l’accento cade sul “gruppo”.

Il problema principale, almeno oggi, almeno in prima battuta, per gli inquilini del Nazareno è essenzialmente questo: Elly che parla solo con i collaboratori più stretti e affidabili e con i capigruppo Boccia e Braga, anche loro due fedelissimi, e per il resto è inarrivabile. La mancanza di collegialità gliela rinfacciano tutti e a maggior ragione perché i suoi colonnelli delegati a curare i territori registrano sconfitte cocenti nelle rispettive Regioni, a partire da Furfaro e Fossi in Toscana. “Fossi da quando è segretario regionale non ha mai convocato neppure la direzione regionale”, attacca Dario Parrini e la stessa accusa viene rivolta a Marta Bonafoni nel Lazio, a Boccia in Puglia, a Provenzano in Sicilia.

L’analisi della sconfitta del gruppo dirigente schleiniano si appunta tutta sulla mancanza di un vero polo di centrosinistra. Il colpevole numero uno insomma è Conte. Il quale però non ci sta, respinge le accuse anzi rilancia: “Meloni non si batte con i campi larghi ma con una idea diversa di Paese. Siamo disposti ad allearci con il Pd ma senza compromettere le nostre battaglie più significative”. Tra le quali figura una frontiera insuperabile come la posizione sulla guerra. La minoranza interna tira in direzione opposta: “Il Pd deve saper parlare ai moderati”, strilla Alfieri.

Le correnti, momentaneamente scivolate sott’acqua dopo l’arrivo della nuova segretaria ma certo non scomparse, stanno riemergendo rapidamente e anche la sola nomina degli uffici di presidenza delle due Camere, ancora vacante a parte la designazione dei capigruppo e congelata dalla segretaria quando aveva tutti gli assi in mano, è ora tutta in salita. Di qui alle europee la strada è lunga ma se fino a lunedì la segretaria dava per certo un risultato comunque vincente, dal 25% al 30%, ora sa che nel corso di quest’anno si giocherà tutto.

31 Maggio 2023

Condividi l'articolo