La rubrica Sottosopra

Quello che la NATO non dice sull’Ucraina: l’escalation anti-Russia nascosta dalla post-verità sulla guerra

Ciò che accade in Ucraina è figlio dell’escalation contro la Russia ingaggiata dal Patto atlantico, che dal 99 al 2004 ha integrato nel suo asse dieci paesi dell’Est

Esteri - di Mario Capanna

7 Dicembre 2025 alle 08:00

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AP Photo/Virginia Mayo

Associate Press/ LaPresse
AP Photo/Virginia Mayo Associate Press/ LaPresse

Laddove l’ignoranza è la nostra padrona, non c’è possibilità di vera pace.
(Dalai Lama)

Perché è tanto difficile raggiungere la pace in Ucraina, questione così spinosa che Trump stesso, l’altro giorno, l’ha definita “un casino”? Per una ragione fondamentale: nel mondo della post-verità le cause degli effetti non esistono più. Occultati nella narrazione, i contrasti – le contraddizioni – vengono separati dalle loro origini sicché, galleggiando fuori dal contesto che li ha determinati, appaiono come insolubili. Per quanto riguarda la guerra Ucraina-Russia-Usa-Nato il primo ostacolo è rappresentato dal non riconoscere che quel conflitto inizia nel 2014 (con il colpo di Stato a Kiev orchestrato dalla Cia, con i massacri delle popolazioni russofone del Donbass, cui segue l’annessione russa della Crimea) e non nel 2022 con l’invasione da parte di Mosca.

L’ingresso dell’Ucraina nella Nato avrebbe alterato, ulteriormente e in profondità, i rapporti fra l’Ovest e l’Est. È qui che emergono quelle verità che l’Occidente non vuole dirsi, e non vuole nemmeno sentirsi dire. Costituitasi la Nato nel 1949 come “alleanza difensiva” rispetto al presunto espansionismo sovietico, il Patto di Varsavia sorge in risposta nel 1955. Con l’implosione dell’Urss questo si scioglie nel 1991 e, dunque, la Nato non avrebbe più avuto ragione di esistere. Ma, anziché estinguersi a sua volta, venuta meno la “motivazione” del suo sorgere, si rafforza estendendosi verso Est. In due ondate: la prima nel 1999, con l’ingresso di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca; la seconda nel 2004 con l’adesione di ben 7 Paesi: Romania, Bulgaria, Slovenia, Slovacchia e le tre Repubbliche baltiche.

A quel punto la Russia protestò con forza (inutilmente), perché si trattava di una violazione totale dell’ordine postbellico concordato nel momento della riunificazione tedesca (le famose promesse fatte a Gorbaciov sulla non espansione della Nato ad Est). Nel 2007 Putin disse: fermatevi! La risposta degli Usa fu il tentativo, nel 2008, di estendere la Nato all’Ucraina e alla Georgia. È degno di nota che, senza i documenti rivelati da Assange, non avremmo saputo nulla di preciso in merito. Nel 2021 Putin fece un ultimo tentativo, con due proposte di accordo sulla sicurezza, rivolte agli Usa e all’Ue, rimaste senza esito. Nel 2022 avviene un fatto clamoroso, di solito occultato dagli analisti: gli Usa abbandonavano unilateralmente il trattato sui missili balistici ABM, ponendo fine al controllo degli armamenti atomici, poiché il trattato serviva a impedire un attacco nucleare preventivo. È chiaro che la mossa americana vanificava il quadro globale della sicurezza.

Se non si tiene conto di questa montagna di fatti (di misfatti, sarebbe meglio dire), non si capisce il perché dell’attacco russo all’Ucraina, che non significa condividerlo. Né va dimenticato che poco dopo l’inizio delle ostilità fu redatto in Turchia un documento di accordo fra Mosca e Kiev. Firmato da Putin, Usa e Ue indussero Zelensky a non sottoscriverlo, mandandogli l’inglese Boris Johnson a spiegargli che in gioco non c’era l’Ucraina, ma l’egemonia occidentale. Un’ecatombe di morti dopo, si ricerca faticosamente quella pace che era a portata di mano poco dopo l’inizio della guerra. Stoltezza inescusabile della hybris aggressiva dell’Occidente. La neutralità dell’Ucraina – vale a dire la certezza che la Nato non la ingloberà – è la prima, basilare, garanzia per la pace. Trump l’ha capito, l’Europa e i “volenterosi” no. Le responsabilità dell’Ue sono schiaccianti. Prima ha illuso l’Ucraina che, con i soldi e le armi fornite, avrebbe vinto la guerra e ora, dinanzi alla disfatta, è protesa a boicottare il piano di pace Usa-Russia. Sembra non rendersi conto di essersi ridotta a vaso di coccio tra vasi di ferro. Non si avvede che Trump, da impenitente affarista, è alla ricerca di un modus vivendi con la Russia, pronto a spartirsi le terre rare del Donbass e a tentare di staccare Mosca da Pechino.

Si sta tornando, in pratica, agli accordi di Minsk peggiorati, questa è la… grande vittoria… di Bruxelles: se Zelensky, la Nato, gli Usa e l’Ue li avessero rispettati, tutta la tragedia si sarebbe evitata. Nelle capitali europee si continua masochisticamente a considerare la Russia come “il nemico”: è il dozzinale pretesto per giustificare il massiccio, pericolosissimo, riarmo. La vocazione guerrafondaia dell’Europa rappresenta in questo momento un rischio di assoluta grandezza. Illudendosi di dettare, da sconfitta, le condizioni del cessate il fuoco, perpetua il dissanguamento dell’Ucraina, per la quale l’alternativa si profila netta: rinunciare a una parte dei territori oggi o a una più vasta domani. Quando, invece, i Paesi europei avrebbero l’occasione – e l’interesse – favorendo la pace, di ripristinare rapporti di buon vicinato con la Russia che è tanta parte, a sua volta, dell’Europa. Per raggiungere questo obiettivo è necessario un sussulto dei cittadini e dei popoli europei. Prima che sia tardi, e la parola passi alle armi nucleari. È urgente fare tutto il possibile per evitare la catastrofe.

P.S. Il 2 dicembre Putin dichiarava: “L’Europa non ha nessun piano per l’Ucraina. Intende solo combattere con la Russia, per infliggerci una sconfitta strategica. Se loro iniziano la guerra, noi siamo pronti. Anche subito”. L’indomani il Corriere della Sera titolava incredibilmente in prima pagina: “Putin minaccia l’Ue: pronti alla guerra”. La deontologia giornalistica sacrificata dalla malattia infantile della russofobia.

7 Dicembre 2025

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