Il ritorno alla leva obbligatoria

Reintrodurre la leva obbligatoria, nel 2029 l’attacco da Est all’Europa?

Proviamo comunque a immaginare come possa mostrarsi nuovamente concreta la pagina infausta della leva obbligatoria che ritenevamo chiusa

Politica - di Fulvio Abbate

2 Dicembre 2025 alle 15:00

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Photo by Roberto Monaldo / LaPresse
Photo by Roberto Monaldo / LaPresse

Sia pure in forma interrogativa, Guido Crosetto, attuale ministro della Difesa del governo di Giorgia Meloni, ha un suggerimento: “Reintrodurre in Italia un nuovo servizio militare, come in Francia e in Germania? Se lo deciderà il Parlamento sì. Io penso di proporre, prima in Consiglio ai ministri e poi in Parlamento, una bozza di disegno di legge da discutere che garantisca la difesa del Paese nei prossimi anni e che non parlerà soltanto di numero di militari ma proprio di organizzazione e di regole”.

Se è vero che l’aggressione russa all’Ucraina mostra il tema bellico su un piano sempre più inclinato e problematico, assodato il disimpegno degli Stati Uniti di Trump rispetto alla difesa europea, il tema non è più affatto peregrino, ciò che sembrava per sempre destinato a una memoria collettiva trascorsa, insieme al ricordo della cartolina precetto, torna a mostrarsi nel calcolo delle probabilità. Decidere quanto eticamente sia eticamente opportuno investire in armamenti è certamente un “oggetto” di natura filosofica che per il momento lasciamo sullo sfondo accidentato del presente storico, proviamo comunque a immaginare come possa mostrarsi nuovamente concreta una pagina che ritenevamo chiusa, o comunque dissolta con l’abolizione, appunto, della leva obbligatoria, sostituita infine da un esercito di professionisti, posto che in assenza di una forza armata non si dà politica estera, al massimo si presidia il proprio territorio nel minuto mantenimento, lessico non meno militare, della sicurezza ordinaria, quotidiana.

Si perdonerà quindi, provando ad affrontare l’argomento, un registro narrativo che oscilli tra memoria collettiva virata “grigioverde” muovendo altrettanto dal dato autobiografico, dico questo poiché nella mia infanzia, colpa o merito di un nonno materno che aveva in appalto la cura del vestiario militare, ho ampiamente trovato modo di frequentare le caserme, ora destinate al corpo degli autieri (mostrine nero-blu) ora al corpo del genio (motto: “Son guastatore arresto e distruggo e nel mio motto viltà e paura sfuggo”) così nel tempo in cui, in attesa del basco, volgarmente dalla truppa detto “la pizza”, era in uso ancora la bustina, in certi casi munita di visiera. Addirittura devo proprio a un ricordo del 4 novembre la metafora concreta più evidente del “fare” materiale, se non proprio della costruzione del mondo e del suo contrario: uno squillo di tromba e subito rivedo, come fosse ieri, l’ufficiale di picchetto, un tenente, fascia azzurra obliqua sulla “drop” ed elmetto “M33” sul capo, chiamare nella piazza d’armi l’arrivo di una jeep. Gli occupanti, dopo essere scesi dal veicolo, vanno immaginati sull’attenti, un nuovo ordine ed eccoli ora intenti, metodicamente, a smontarne ogni suo componente, ordinandone le parti, quasi sinotticamente, in pochi minuti lì per terra: dalla scocca ai sedili allo stesso blocco del motore.

Poi nuovamente c’è modo di trovarli sull’attenti. L’ordine successivo contempla la doverosa possibilità di rimontare ogni cosa per poi allontanarsi a tutto gas, così come erano arrivati, tra gli applausi degli ospiti in tribuna, compreso, se ricordo bene, il responsabile, sicuramente un colonnello, del “comiliter” locale. Ho svolto il mio servizio militare a Orvieto, presso la Caserma “Piave” del 3° Battaglione Granatieri “Guardie”, anni dopo, la stessa che lo scrittore Pier Vittorio Tondelli ha raccontato in uno straordinario e struggente romanzo dedicato alla “naja”, tra contrappelli, alzabandiera, camerate, palazzina comando e amori gay, intitolato “Pao Pao”. Erano i giorni della missione in Libano. Molti anni dopo, facendo ritorno nella città del Pozzo di San Patrizio da “borghese”, ho scoperto che il complesso militare era in dismissione, anche le lettere di bronzo che sul monumento dedicato alle gesta dei granatieri erano in parte venute giù dall’”invitto marmo”, allo stesso modo delle fabbriche altrove, ricevendo anche in questo caso ciò che Pasolini chiama la “dopostroria”, sembrava ormai sideralmente remoto il tempo di Marmittone, insieme ai giornaletti che ne accompagnavano i giorni, turpi letture come “Il Tromba”, “Lando”, “Il Camionista”, “Il Montatore”, “Zora la Vampira”, “Hessa” e addirittura “Sukia”.

Il mio candore, l’errata convinzione di una pace ormai illimitata all’ombra di Yalta, illimitata come il congedo, mi avrebbe per nulla fatto supporre che ogni cosa potesse ricomporsi, facendo ritorno, nei giorni di Kiev bombardata da Mosca, i droni, inimmaginabili allora, cioè nel 1983, spioventi dal cielo come ordigni guidati a distanza nel tempo telematico. Al pensiero di ciò che potrà essere, mi tengono compagnia i versi di Sandro Penna, e chissà se sono cari e noti a Crosetto: “Salgono in compagnia dei genitori, i bei ragazzi dagli occhi legati, noi siamo qui, avidi un poco, poveri soldati”. Qualcuno afferma che l’attacco da Est all’Europa è previsto per il 2029. Poveri soldati…

2 Dicembre 2025

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