Il film di Fiorella Infascelli
La Camera di Consiglio, Fiorella Infascelli racconta il Maxiprocesso
Dedicato al Maxiprocesso che nell’87 inflisse 346 condanne a membri di Cosa Nostra, il film esplora i tormenti degli 8 giurati blindati nell’Ucciardone, chiamati a scelte molto coraggiose
Spettacoli - di Chiara Nicoletti
Una delle pagine più decisive della storia della Repubblica Italiana, il Maxiprocesso, tenutosi dalla fine degli anni 80, è l’oggetto del nuovo film di Fiorella Infascelli, La Camera di consiglio, che, dopo essere stato presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, uscirà al cinema oggi distribuito da Notorious Pictures. Con Sergio Rubini e Massimo Popolizio nei ruoli rispettivi del presidente della Giuria, Alfonso Giordano e del giudice a latere, Pietro Grasso, il film ha un assetto corale e racconta la camera di consiglio più lunga della storia giudiziaria italiana: 36 giorni in cui 8 giurati, blindati in un appartamento-bunker nel carcere dell’Ucciardone, dovettero decidere condanne e assoluzioni per 470 imputati del Maxiprocesso di Palermo.
“Attraverso questo film spero che le persone vadano a ricordare il Maxiprocesso” – ha dichiarato Infascelli, in un incontro alla Festa del cinema ad ottobre. “È stato il primo processo che ha permesso di affermare che la Mafia esiste, e mi sembrava molto affascinante raccontare 8 persone rinchiuse in un appartamento per giorni, blindati senza poter scrivere, ricevere lettere, senza poter parlare con i parenti, senza avere una televisione, una radio”. Prodotto da Armosia e Master Five Cinematografica con Rai Cinema, il film è stato scritto da Fiorella Infascelli e Mimmo Rafele con la collaborazione di Francesco La Licata e la sceneggiatura è stata sviluppata con la consulenza di Pietro Grasso, giudice a latere del Maxiprocesso. Oltre al lavoro con Grasso, Fiorella Infascelli ha continuato a documentarsi e dove non si poteva accedere con le testimonianze, ha dato spazio al cinema per fare il resto: “Le uniche due persone ancora vive tra i giurati erano le due donne. Una di loro è morta due mesi fa. Ho parlato moltissimo con lei e poi ho parlato con tutti i parenti degli altri giurati. Poi ho avuto Pietro Grasso in supporto ed anche il figlio del presidente Giordano. Dopodiché ho inventato, perché non è che si può sapere che cosa si dicevano tra di loro lì dentro”.
A proposito di Alfonso Giordano, Sergio Rubini spende parole di grande ammirazione: “Ha avuto il coraggio di accettare quello che altri avevano rifiutato, ed era anche guardato con un certo sospetto non essendo un penalista. Con la sua moderazione è riuscito a portare il processo a buon fine, ha agito sempre in punta di diritto, senza farsi prendere dalla giustizia sommaria. Io personalmente non sapevo molto della Camera di Consiglio, non sapevo di questi 36 giorni in cattività diciamo così, e della paura che in qualche modo assediava i protagonisti di questa impresa. Non sapevo nemmeno che il mio personaggio era stato preso dal civile perché molti giudici avevano rifiutato di presiedere quella corte e quindi è stato molto interessante. Questi personaggi sono stati eroici perché è chiaro che la mafia, in quel momento, non avesse assolutamente piacere che ci fosse questo processo. Lo hanno dimostrato prima con tutti i giudici che hanno ammazzato e con tutti i morti che hanno fatto. Su ognuno di questi personaggi gravava sostanzialmente una condanna a morte, ogni giudice aveva un suo doppio in caso venisse ammazzato, però nel film sono raccontati alla luce della loro normalità, come esseri umani che hanno accettato in qualche modo questo compito per il bene comune, credendo nella giustizia e nell’impegno civile. Noi italiani tendiamo a sopportare per poi ribellarci in momenti eclatanti, come accadde con il lancio di monetine contro Craxi. Ma ci sono regole che vanno applicate, anche se generano magari frustrazione. Il rispetto delle regole è la grande lezione di questo film. La cosa più importante è il coraggio di dire la verità”.
Già con Era d’estate, Fiorella Infascelli aveva raccontato anni fa Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, interpretati da Massimo Popolizio e Beppe Fiorello, nel ritiro forzato che i due giudici, nel 1985, dovettero fare con le proprie famiglie presso l’isola-bunker dell’Asinara. Torna a raccontare i microcosmi Fiorella Infascelli, anche in questo ultimo lavoro, un tempo sospeso, come quello degli 8 giurati, chiusi in un bunker che diventa come il palco di un teatro. Girato interamente in interni, La Camera di Consiglio infatti adotta un’impostazione scenica teatrale, per esaltare la tensione e l’isolamento di quei giorni. “Avendo fatto Era d’estate – ricorda la regista – avevo molto lavorato sull’ordinanza che Falcone e Borsellino avevano scritto per fare il Maxiprocesso che, tra l’altro, è stato l’unico momento in cui lo Stato è stato veramente accanto a loro e al Pool. Cosa è accaduto in quei 36 giorni? Come stavano? Quanto avevano paura? Com’era il rapporto tra il presidente e il giudice? Quali erano le loro paure dopo quando sarebbero usciti? Noi non dovremmo sapere cosa si sono detti, cosa è accaduto, non dovremmo sapere chi ha votato a favore o contro alcune pene, questo è quello che non si può sapere e infatti non si vede nel film”.
Da Falcone in Era d’Estate al giudice Pietro Grasso in La Camera di Consiglio, Massimo Popolizio descrive la funzione del suo personaggio dentro il film e nella vicenda reale: “Dietro queste sentenze c’è un grandissimo lavoro, i processi di piazza sono superficiali. Qui invece c’è l’analisi, la competenza e l’impegno di queste persone, ognuno con la sua fragilità e il suo carattere. Il mio personaggio è irruento, passionale, ma aveva il dovere di traghettare gli altri e di calmarli”. Popolizio poi prosegue a riflettere sulla responsabilità che ci si assume nel prendere parte ad un film come La Camera di Consiglio: “Quando partecipi a un film del genere è un senso di responsabilità diverso dagli altri film. Se Pietro Grasso è un servitore dello Stato, io sono stato un servitore del film. Con Sergio Rubini siamo stati al servizio della sceneggiatura perché c’è un bene comune che è quello della riuscita del film che si svolge in un ambiente chiuso, con carrellate di muri, stanze vuote, piene di fantasmi. Queste otto persone, nonostante la paura di essere uccisi, hanno avuto il coraggio di combatterla animati da un senso più alto dello stare al mondo”.
Bisogna ricordare che con il Maxiprocesso, per la prima volta lo Stato riuscì a infliggere una condanna collettiva a Cosa Nostra, riconoscendo l’esistenza dell’organizzazione mafiosa come struttura unitaria. Un momento di svolta giudiziaria e civile che cambiò per sempre la storia del Paese. Prima di chiudere l’incontro, Popolizio si interroga sulla Mafia oggi e la sua esistenza: “È un modo di pensare che noi dobbiamo combattere – sottolinea – un modo di vedere la vita con cui abbiamo a che fare tutti i giorni”. Rimarca poi Sergio Rubini: “Quando studi i greci, scopri che anche Achille aveva paura, perché gli eroi sono come noi, ma hanno il coraggio di affrontare l’impresa. Dovremmo farlo tutti in questo momento in cui regnano frustrazione e barbarie”.