L'iconico concerto
È morto Adrian Maben: addio al regista di “Live at Pompeii” dei Pink Floyd, il leggendario docufilm anti-Woodstock
Quell'idea nacque da un guaio di quelli che non si vorrebbe mai passare in vacanza: aveva perso il portafogli. La band in stato di grazia, nessuno spettatore. Gli venne conferita la cittadinanza onoraria
Cultura - di Antonio Lamorte
Ancora oggi, nei corridoi dell’Anfiteatro nel Parco Archeologico, la mostra “Pink Floyd. Live at Pompeii. The exhibition by Adrian Maben” ricorda quel memorabile e iconico – è il caso di dirlo – concerto. Era l’autunno del 1971 quando i Pink Floyd girarono il loro storico ed emblematico Live at Pompeii. Quel progetto era stato voluto dal regista scozzese Adrian Maben, morto oggi all’età di 83 anni, un’idea scattata per caso e per un guaio durante una vacanza in Italia: quel tipo di guaio che non si vorrebbe mai accadesse mentre si è in vacanza. E che invece gli cambiarono la vita.
La sua idea iniziale era quella di girare un concerto dei Pink Floyd con quadri di De Chirico e Magritte: la band declinò l’offerta. Leggenda vuole che Maben avesse perso il portafoglio nel corso di una visita al Parco Archeologico, tornato tra le rovine per cercare il documento si ritrovò al momento del tramonto nei pressi dell’Anfiteatro e intuì che era lì che avrebbe voluto girare il concerto. Aveva 29 anni. La band in quel momento era composta dalla storica formazione con David Gilmour, Nick Mason, Roger Waters e Richard Wright, quella formazione in stato di grazia che si sarebbe consacrata di lì a pochi anni alla storia del rock con album come The Dark Side of the Moon e Wish you were here.
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Quel concerto venne girato senza spettatori, con l’eccezione di alcuni addetti e curiosi che si nascosero tra le rovine. Era una specie di anti-Woodstock, il raduno oceanico che aveva rappresentato qualche tempo prima il culmine del movimento hippy. L’idea di Maben era più esclusiva, evocativa, concettuale. Un concerto tra le rovine. Maben ottenne il via libera a girare grazie al prof. Ugo Carputi dell’Università di Napoli. Furono quattro i giorni di riprese, dal 4 al 7 ottobre. Per alimentare quella gigantesca macchina, furono costretti a prendere la corrente dal Comune: un cavo lunghissimo attraversava le strade per far arrivare l’elettricità fino all’Anfiteatro.
“Adrian Maben sarà per sempre ricordato – si legge in una nota diffusa dal Parco Archeologico – come l’uomo dietro la macchina da presa di Pink Floyd: Live at Pompeii, il leggendario film-concerto che ha immortalato la band in uno degli scenari più maestosi e suggestivi della storia: l’Anfiteatro di Pompei. Un legame profondo quello tra Maben e l’antica città, un rapporto che andava oltre il mero set cinematografico”.
I Pink Floyd furono ripresi anche mentre camminavano tra i vapori della Solfatara di Pozzuoli, la maggior parte del docu-film venne girato nell’Anfiteatro Romano, oggi sede di concerti soprattutto nel periodo estivo. “Lo stesso regista dichiarò di visitare periodicamente Pompei, e per questi suoi meriti artistici e per il suo contributo a elevare il nome della città nel mondo, nel luglio 2015 gli venne conferita la cittadinanza onoraria. Un onore che sottolinea quanto la sua figura fosse legata indissolubilmente a quel luogo, tanto da essere spesso ospite d’onore negli eventi pompeiani dedicati ai Pink Floyd”.
La scaletta aveva incluso le canzoni Echoes, One of These Days, e A Saucerful of Secrets, poi integrato con delle parti da The Dark Side Of The Moon girate a Parigi. Maben girò anche altri documentari, tra gli altri Le Grand escalator nel 1987, sul Centro culturale ‘Pompidou‘ di Parigi ma il suo nome è rimasto per sempre legato a quel docufilm live nella cittadina seppellita dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d. C. e oggi uno dei siti archeologici più famosi e visitati al mondo. Le registrazioni del concerto sono state pubblicate ufficialmente soltanto quest’anno dopo che per anni avevano circolato in bootleg non autorizzati.