L'informativa della premier
Meloni tra Gaza e legge di bilancio: l’attacco alle piazze pro-Pal e al cuore dell’Europa
Nell’informativa alla vigilia del Consiglio europeo la premier si spertica in lodi per Trump e minaccia l’Ue: “Non appoggeremo la legge sul clima”. Stato di Palestina? “Sì, ma senza Hamas”
Politica - di David Romoli
Giorgia Meloni è più preoccupata di quanto non ammetterebbe per lo scollamento tra il suo governo e l’opinione degli italiani, inclusi quelli di destra, su Gaza e la Palestina. Certo nella replica dopo il dibattito sulla sua informativa alla vigilia del Consiglio europeo di oggi, gioca in attacco: ricorda che anche se un milione di persone scendessero in piazza, ce ne sarebbero comunque altri 59 milioni che non lo fanno. Si appiglia a un passaggio della senatrice 5S Maiorino, che aveva definito le manifestazioni su Gaza come contrarie al governo, per tentare l’affondo. “Grazie per averlo ammesso”, risponde, poi va alla carica contro “il cinismo di chi sfrutta la sofferenza di un popolo per cercare di raggranellare voti e fare propaganda”.
Ma scaramucce dialettiche a parte, Giorgia nella prima parte del suo discorso, quella dedicata alla Palestina, è sulla difensiva. Esalta Trump, che ha dedicato alla ricerca della tregua “straordinarie energie” raggiungendo “un indiscutibile successo”. E parla in tutta evidenza di Trump per elogiare se stessa, la più trumpiana di tutti. Esalta lo sforzo umanitario dell’Italia, “unico tra le nazioni europee” e se la prende con chi “per interesse” o “finge di non vederlo o addirittura lo nega”. Si propone come favorevolissima al riconoscimento dello Stato palestinese: purché Hamas rinunci a qualsiasi ruolo di governo, nel presente e nel futuro, a Gaza e purché accetti il disarmo. A quel punto “il governo è pronto ad agire di conseguenza”.
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Giorgia è abile, riesce spesso a nasconderlo, però su quasi tutti gli argomenti affrontati mira in tutta evidenza a parare critiche ad alto rischio di condivisione da parte dell’elettorato. Sull’Ucraina si sbraccia per confermare pienissimo appoggio a Kiev, sbandiera la linea della Ue, “Pace giusta e senza sopraffazione”. Ma nel concreto sottolinea che dall’Italia non partiranno in nessun caso soldati inviati in Ucraina e che, se è sacrosanta “l’esigenza di aumentare la pressione sulla Russia”, è però anche vero che sulla natura di quelle sanzioni “riteniamo, e non siamo i soli, che sia necessario rispettare il diritto internazionale, tutelare la stabilità finanziaria e monetaria delle nostre economie e dell’area euro, garantire la sostenibilità di ogni passo intrapreso”. L’appoggio all’Ucraina si ferma sul confine degli interessi dell’Italia e degli italiani. Promessa di premier.
Anche il riarmo è un tema delicato. Non a caso Meloni ripete più volte che la spesa per gli arsenali, necessaria perché solo così si difende e garantisce “la sovranità nazionale” non ha inciso sulla Sanità in questa legge di bilancio e non inciderà mai sulle tasche degli italiani. Per questo ci sono tre punti fermi che la premier proclama di voler difendere strenuamente: flessibilità permanente del Patto per quanto riguarda la spesa militare, massima mobilitazione dei capitali privati grazie a svariate forme di sostegno da parte dell’Unione e della Bce, e conferma non negoziabile della competenza esclusiva in materia di sicurezza degli Stati membri che “devono rimanere i decisori”. Senza dimenticare, anzi ricordando con gli altoparlanti da concerto negli stadi, che la difesa dei confini non riguarda solo quelli orientali, dove incombe la torva minaccia russa, ma anche quelli meridionali, quelli da cui ovviamente passano i migranti.
C’è però un punto specifico sul quale la premier non si difende, non mette le mani avanti ma, al contrario, va all’attacco con la baionetta tra i denti: il Green Deal. È il tema su quale Giorgia si sofferma più a lungo, con una precisione dettagliata nella richiesta di svolte drastiche sul clima inusuale in queste informative. È anche l’unico sul quale mette esplicitamente sul tavolo la minaccia di mettersi di mezzo: “L’Italia non potrà sostenere la proposta della Commissione di revisione della legge Clima europea così come formulata senza un sostanziale cambio di approccio”.
L’offensiva è finale. Parte dalla denuncia dell’ “approccio ideologico irragionevole che impone obiettivi insostenibili e irraggiungibili che producono danno al tessuto industriale” che ha ispirato il Green Deal. Approda a un pronunciamento esplicito: “L’ Italia non è pronta a sostenere nuove iniziative autodistruttive e controproducenti per inseguire gli interessi di bizzarre maggioranze parlamentari in Europa”. Non è la levata di scudi su un tema specifico, ancorché di massima importanza come il cambiamento climatico. È un attacco al cuore della Ue di ieri, sferrato sul terreno sino a ieri più qualificante ma sul quale si è già saldata l’alleanza tra destra e Ppe. La vera maggioranza che, con l’offensiva finale contro il Green Deal, Meloni mira a imporre come maggioranza di fatto se non di nome alla guida di una Ue molto diversa da quella che è stata sino a poco tempo fa. La nuova Europa della nuova Destra.