L'inseguimento e lo schianto
Morte di Ramy a Milano, i pm chiedono l’omicidio stradale per il carabiniere e l’amico della vittima: “Auto troppo vicina”

Una notifica di conclusione delle indagini, preliminare alla richiesta di rinvio a giudizio, che smentisce in larga parte la perizia del consulente tecnico dei pm di Milano che indagano sulla morte di Ramy Elgaml, il 19enne italo-egiziano morto il 24 novembre in un incidente al termine di un inseguimento con i carabinieri.
La Procura, tramite i pm titolari del fascicolo, Giancarla Serafini e Marco Cirigliano, intende addebitare al militare alla guida della volante una “colpa generica” per non aver rispettato integralmente l’articolo 177, secondo il quale durante le attività di servizio, come gli inseguimenti, le forze dell’ordine possono ovviamente non rispettare le norme stradali ma comunque “nel rispetto delle regole di comune prudenza e diligenza”. La relazione del consulente tecnico della procura sosteneva che “l’operato del conducente dell’autovettura dei carabinieri nell’ambito dell’inseguimento” risultava “essere stato conforme a quanto prescritto dalle procedure in uso alle forze dell’ordine”.
La notifica di avviso di conclusioni delle indagini (preliminare solitamente alla richiesta di rinvio a giudizio, salvo controdeduzioni difensive entro 20 giorni in grado far cambiare idea alla Procura) per il militare che guidava la Giulietta nell’inseguimento è per il reato di “omicidio stradale”.
I pm milanesi intendono procedere per omicidio stradale anche contro il 22enne italo-tunisino che guidava lo scooter T-Max che quella notte non si era fermato all’alt dei carabinieri, facendo partire un lunghissimo inseguimento finito con uno schianto contro il palo del semaforo.
Per la Procura, spiega oggi il Corriere della Sera, il carabiniere alla guida della volante era troppo vicino allo scooter, “a meno di un metro e mezzo nel tratto finale a 55 chilometri all’ora, e dunque a una distanza inidonea a prevenire collisioni con il mezzo in fuga” quando l’amico di Ramy fece “un’improvvisa manovra a destra in direzione della rampa pedonale”. In quel momento vi fu l’urto tra la parte posteriore destra dello scooter con la fascia anteriore del paraurti dell’auto dei carabinieri che arrivava da dietro, impatto che provocò lo “slittamento del motociclo” e dello “sbalzo” mortale di Ramy contro il semaforo. Secondo il perito servivano invece 13 metri per schivare la sterzata della moto e 17 metri per frenare.
Non solo. I pm milanesi elencano anche una serie di variabili che il carabinieri avrebbe dovuto calcolare, tra cui la condotta avventata del conducente dello scooter e la natura stessa del motociclo inseguito, l’alta velocità e la durata dell’inseguimento, proseguito per ben otto minuti dal centro di Milano al Corvetto. Tutte variabili destinate “a inficiare le capacità” del carabiniere “di concentrazione nella guida e di reazione, e le capacità frenanti del veicolo.