Fu un suicidio?
Mario Paciolla, il gip di Roma archivia l’indagine per omicidio del cooperante italiano morto in Colombia

Per la giustizia italiana la morte di Mario Paciolla è un suicidio. Il giudice per le indagini preliminari di Roma ha archiviato l’inchiesta sulla morte del cooperante italiano trovato morto il 15 luglio del 2020 nella sua abitazione di San Vicente del Caguàn, in Colombia, dove operava per le Nazioni Unite.
Il giudice ha accolto la richiesta sollecitata dalla procura a cui si era opposta la famiglia. I pm avevano chiesto due volte l’archiviazione: nel primo caso il gip aveva disposto ulteriori indagini, ora invece il giudice ha accolto la richiesta della procura di Roma.
Paciolla, giornalista e attivista napoletano, morì a 33 anni mentre era impegnato in una missione da osservatore Onu sull’accordo tra governo di Bogotà e le Farc, le Forze Armate Rivoluzionarie di sinistra protagoniste per decenni di una lotta armata contro lo Stato.
Mario venne ritrovato nel suo appartamento senza vita, impiccato con un lenzuolo ma anche con tagli e sangue. Un decesso subito classificato come suicidio dalle autorità locali, ma a seguito di una mobilitazione generale e di inchieste giornalistiche i magistrati colombiano avviarono indagini su quattro membri della polizia accusati di aver consentito a funzionari delle Nazioni Unite di prelevare oggetti personali della vittima.
Nell’ultimo periodo prima del decesso Paciolla era pieno di timori e inquietudini, come riferito in passato dalla madre del ragazzo, Anna Motta. Solamente cinque giorno dopo il ritrovamento del corpo, il 20 luglio, sarebbe rientrato in Italia, aveva già comprato il biglietto aereo: “Mi sento sporco – aveva confidato Mario alla madre – ho voglia di lavarmi nel mare di Napoli”.
Una delle ultime piste delle indagini sulla morte del cooperante italiano, portata avanti sia dalla procura di Roma che dalle autorità in Colombia, riguardava l’ipotesi che Paciolla fosse stato ucciso per aver scritto un report dove metteva in relazione l’assassinio di sette adolescenti innocenti, tra i 12 e i 17 anni, in un campo di irriducibili delle Farc, con l’operato dell’esercito colombiano.
“Prendiamo atto con dolore e amarezza della decisione del tribunale di Roma di archiviare l’omicidio di nostro figlio Mario – scrivono in una nota i genitori Anna e Giuseppe Paciolla, con le loro figlie Raffaella e Paola e con le avvocate Emanuela Motta e Alessandra Ballerini -. Noi sappiamo non solo con le certezze del nostro cuore, ma con le evidenze della ragione frutto di anni di investigazioni e perizie, che Mario non si è tolto la vita, ma è stato ucciso perché aveva fatto troppo bene il suo lavoro umanitario in un contesto difficilissimo e pericoloso in cui evidentemente non bisognava fidarsi di nessuno. Sappiamo che questa è solo una tappa, per quanto ardua e oltraggiosa, del nostro percorso di verità e giustizia”.
“Continueremo a lottare finché non otterremo una verità processuale e non sarà restituita dignità a nostro figlio. Utilizziamo con rammarico e sofferenza il verbo ‘lottare’, mai avremmo pensato di dover portare avanti una battaglia per avere una giustizia che dovrebbe spettarci di diritto. Sappiamo però che non siamo e non resteremo mai soli. Grazie a tutte le persone che staranno al nostro fianco fino a quando la battaglia non sarà vinta”, concludono i familiari.