Aveva 81 anni
È morto Sebastião Salgado: addio al fotografo dei lavoratori, del Pianeta Terra e degli ultimi
Divenne oppositore di sinistra dopo l'arrivo al potere in Brasile della giunta militare. Suo lo scatto dell'attentato a Reagan, per tutta la vita provato dalle conseguenze dello scoppio di una mina in Mozambico
Cultura - di Redazione Web

Ha fotografato il Novecento, la crisi del Pianeta Terra, la guerra, le tribù dell’Amazzonia. Era diventato famoso per il suo iconico bianco e nero con cui aveva immortalato paesaggi, lavoratori, migranti Sebastião Salgado, uno dei fotografi più riconosciuti e apprezzati in tutto il mondo, tra i più celebri per la fotografia sociale e documentaristica. È morto a 81 anni. A confermare la notizia, venerdì 23 maggio, l’Instituto Terra che aveva fondato insieme alla moglie. Era malato di leucemia, come ha confermato all’Agence France-Press la stessa famiglia.
Era nato ad Aimore, nel Minas Gerais, lo Stato delle miniere in Brasile nel 1944. Era l’unico maschio in una famiglia con sette sorelle. Aveva studiato all’università di Vitoria, dove avrebbe incontrato la moglie Léila Wanick, autrice e produttrice cinematografica, con la quale sarebbe rimasto per 60 anni e che gli avrebbe trasmesso la passione per la fotografia. Prima una carriera da economista, lavorò al ministero delle Finanze prima che arrivasse la giunta militare e diventasse un oppositore, un militante di sinistra. E lasciò il Brasile. Arrivò a Parigi, a Londra, a Lisbona. La sua carriera è durata più di mezzo secolo: ha fotografato il Novecento e oltre.
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Salgado nella prima parte della carriera aveva lavorato per le maggiori agenzie internazionali: in Portogallo raccontò la Rivoluzione dei Garofani, quella che nel 1974 mise fine alla dittatura. Partì per il Mozambico e l’Angola, in Australia e di nuovo in Europa, fotografò l’attentato a Ronald Reagan, Presidente degli Stati Uniti, del 30 marzo 1981 a Washington. Scatto che passò alla storia: lui raccontò di essersi comprato la casa a Parigi con quella fotografia. Per tutta la vita subì le conseguenze, con sofferenze in particolare alla colonna vertebrale, per l’esplosione di una mina che lo coinvolse mentre viaggiava in macchina in Mozambico.
La seconda parte della carriera invece la dedicò ai progetti da indipendente con lunghi reportage in tutto il mondo. Con la moglie fondò l’agenzia fotografica Salgado la Amazonas Images. Iconici gli scatti dei minatori di Serra Pelada, quelli del progetto “Genesi” in 130 Paesi diversi sul rapporto tra essere umano e ambiente, la serie “Workers” sul lavoro manuale realizzato in sei anni in 26 Paesi, lungo 15 anni in 43 Paesi diversi “Migrations” sul fenomeno della migrazione. Alla sua carriera e alla sua vita è dedicato il documentario Il sale della terra, pubblicato nel 2014 dal regista tedesco Wim Wenders, che l’anno successivo ottenne una nomination agli Oscar.
“Sebastião è stato molto più di uno dei più grandi fotografi dei nostri tempi. Accanto alla sua compagna di vita, Lélia Deluiz Wanick Salgado, ha seminato speranza dove c’era devastazione e ha dato vita alla convinzione che il ripristino ambientale sia anche un profondo atto di amore per l’umanità. La sua lente ha rivelato il mondo e le sue contraddizioni; la sua vita, il potere dell’azione trasformativa – le parole di cordoglio dell’Instituto Terra – Continueremo a onorare la sua eredità, a nutrire la terra, la giustizia e la bellezza, che credeva così profondamente potesse essere ripristinata”.
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