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Nino Benvenuti, il ricordo di Alessandro Duran: “Leggenda in vita e personaggio vero, lui e mio padre Carlos: avversari e amici fino all’ultimo”

Il ricordo dell'ex campione del mondo, parte di una dinastia pugilistica. "L’Italia ha avuto tanti campioni che potevano valere Nino ma lui è andato oltre, ha conquistato l'America. Aveva una popolarità enorme ma non la faceva mai pesare. Era un uomo di altri tempi"

News - di Antonio Lamorte

22 Maggio 2025 alle 16:56

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FOTO DA FB + LAPRESSE
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Quando Juan Carlos Duran morì e presero il vestito buono trovarono nel taschino un biglietto. Lo portarono alla moglie: era un biglietto da visita di Nino Benvenuti. Augusta lo guardò e disse di rimetterlo nella tasca del vestito. “Perché mio padre avrebbe avuto piacere a portarlo con sé per sempre”, racconta a L’Unità Alessandro Duran, ex pugile, eroe della boxe italiana tra gli anni ’80 e ’90, campione d’Italia, d’Europa e del mondo che Benvenuti. “Mia madre ha vissuto gli anni d’oro del pugilato italiano al fianco di mio padre, immigrato, arrivato in Italia quando la stella era Nino Benvenuti. Erano nella stessa categoria e mio padre ha seguito la scia della carriera di Nino”. Altra era geologica: quella del pugilato pro italiano che poteva dire la sua anche a livello mondiale. E che da martedì scorso è a lutto per la morte di Benvenuti, a 87 anni.

Quando si parla di Duran si parla di una dinastia. Sia Alessandro che Massimiliano detto Momo campioni del mondo, entrambi figli di Juan Carlos che dall’Argentina arrivò a Ferrara. Debuttò a dicembre 1960, pochi mesi dopo che alle Olimpiadi di Roma Benvenuti si era rivelato agli italiani: con quella faccia pulita, da attore, bello senza essere maledetto, la parlantina schietta, l’eloquio che smentiva il cliché del pugile rozzo e ignorante. Ai Giochi vinse la medaglia d’oro e la Coppa Val Barker al miglior pugile del torneo. Divenne un idolo. E una leggenda dopo gli incontri per il Mondiale Super Welter con Sandro Mazzinghi, in una rivalità degna di quelle tra Coppi e Bartali o Mazzola e Rivera, e il Mondiale vinto a New York contro Emile Griffith.

La leggenda di Nino Benvenuti

18 milioni di italiani accesero le radio nel cuore della notte del 17 aprile 1967 per immaginare l’incontro dalla voce di Paolo Valenti, voli charter dall’Italia all’America per seguire il campion, Milva a bordo ring, Frank Sinatra come tifoso. “È stato il più grande perché non ha solo conquistato il mondiale di pugilato in America, al Madison Square Garden, con un avversario leggendario. Ci sono riusciti anche altri – osserva Duran – Nino ha conquistato l’America: è diverso. Lui poteva rimanere tranquillamente negli Stati Uniti, aveva ricevuto offerte d’oro per restare. Lui però era un italiano, aveva un passato storico anche molto doloroso ma portava con grande orgoglio il tricolore in giro per il mondo”.

La dinastia Duran era però storicamente legata a Mazzinghi. Quando lasciarono la boxe, Nino e Carlos lavorarono insieme come rappresentanti per la stessa ditta di enciclopedie, a Milano, e strinsero il rapporto. Un’amicizia che sarebbe durata fino all’ultimo. Prima: molto prima, a dicembre 1964, c’era stato l’incontro al Palazzo dello Sport alla Fiera di Milano, categoria Superwelter: vinse Benvenuti ai punti, le cronache dell’epoca parlavano di un match bellissimo. “Quando Nino lasciò vacante il titolo italiano e divenne campione europeo, mio padre divenne campione italiano. Quando Nino fece il mondiale con Griffith e lasciò il titolo europeo, mio padre divenne campione d’Europa”. A quel punto, entrambi nei pesi medi, si sfiorò l’incontro mondiale prima che l’italo argentino perdesse a Copenhagen con Tom Bogs. “All’epoca una sconfitta penalizzava tantissimo, mio padre era secondo nel ranking. Alla fine non ebbe mai l’occasione di disputare un mondiale. Mi colpì molto in un’intervista, quando gli diedero la cittadinanza: disse che si sarebbe sentito realizzato quando per gli italiani sarebbe diventato Carlo come Benvenuti era Nino e Mazzinghi era Sandro. E in quella frase lì c’era tutta la stima che provava per questi due grandi pugili. Lui era un po’ il terzo incomodo: è riuscito a diventare Carlo”.

Già quando Carlo Duran era arrivato in Italia, un sudamericano con la faccia da indio, prima di tutti veniva Nino, punto di riferimento inarrivabile. “Era una cosa logica, giusta”. È andata così molto più tempo di quanto si possa pensare. “Anche quando combattevo io la gente ti fermava per strada, ti parlava, e ti diceva che guardava il pugilato per Nino Benvenuti. Era una cosa che poteva dare anche fastidio ma tutti abbiamo riconosciuto la sua grandezza. È stato il nostro simbolo. Da un punto di vista pugilistico l’Italia ha avuto tanti campioni che potevano valere Nino. Penso a Duilio Loi, a Tiberio Mitri, a Bruno Arcari. Lui è andato oltre, è diventato una leggenda in vita. Succede a pochissime persone”.

Il personaggio Nino Benvenuti

Benvenuti era carisma, personalità, pugile completo, tecnica e sostanza,  presentabile. Quando si dice: personaggio. “Ai nostri tempi la popolarità ce la davano i quotidiani e la televisione: venivano a cercarci se dimostravamo di valere e se di noi si parlava. Oggi tutti parlano, scrivono, dicono, proclamano: questo è sbagliato. Il pugile dev’essere prima pugile, prima si deve dimostrare di meritare l’attenzione mediatica ma questa ossessione di voler diventare necessariamente personaggio, per me può essere un’arma a doppio taglio, controproducente”. Duran riconosce però che oggi qualcosa si sta muovendo nel movimento pro italiano, dopo che “per trent’anni abbiamo pagato il fatto che la federazione ha fatto l’errore madornale di mettere in un angolo il professionismo e di puntare tutto sul dilettantismo di stato”, oggi c’è chi sta facendo bene. “Come Michael Magnesi, Ivan Zucco, Johnatan Kogasso, Etinosa Oliha. E ce ne sono altri che stanno crescendo bene ma bisogna andare con calma, la strada non è facile”.

 

 

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E figuriamoci: facile non fu neanche per Benvenuti, che fu esule da bambino e orfano da ragazzo. “Facevamo pugilato perché c’era una doccia calda”, una delle sue frasi più rilanciate dopo la sua morte. Spesso e volentieri in televisione o sulle riviste di gossip perché, non ultimo: piaceva alle donne. “Quando Hagler combatté a Sanremo con Obelmejias, avevo 16 anni ed ebbi l’onore di portare la bandiera degli USA sul ring. Benvenuti era presente e il giorno dopo eravamo tutti in trasmissione da Gianni Minà. A un certo punto arrivò Liza Minelli, ospite anche lei: quando entrò era Nino la star, lei gli andò incontro, ‘Champ! Champ! Champ!’, questo era quello che succedeva con Benvenuti”.

La sconfitta di Nino Benvenuti

E fu psicodramma, pianti e incredulità a Roma quando un altro argentino con la faccia da indio, un altro Carlos, lo tirò giù alla sua maniera forte e brutale alla 12esima ripresa: Monzón era arrivato al Palazzo dello Sport di Roma nel novembre del 1970 come uno sconosciuto dal fin del mundo. “Mio padre doveva fare l’Europeo a Roma, si stava preparando in ritiro a Imola. Mia madre lo chiamò, gli disse che aveva visto l’avversario di Nino. ‘È un brutto cliente, una faccia determinata, una convinzione nello sguardo che metteva paura’. Non si sbagliò”. Pochi mesi dopo la rivincita a Montecarlo, fu ancora più sconfortante. “Nella sfortuna di perdere il titolo, ha avuto la fortuna di perderlo con un pugile leggendario che per sette anni è stato campione del mondo. Per sette anni è come se  Benvenuti avesse continuato a salire sul ring con Monzón”.

Quando fu il turno dei fratelli Duran di salire sul ring, Benvenuti seguiva gli incontri, li commentava, soprattutto dopo la morte di Carlo si presentava a casa, a dare consigli, a studiare l’avversario. “E quando combattevo non nascondo che buttavo sempre un occhio verso la postazione televisiva per avere la sicurezza che stessi facendo bene. Mi è sempre stato vicino”. Alessandro Duran ha voluto che fosse Nino Benvenuti, poco prima che esplodesse la pandemia da covid-19, a premiarlo con la cintura di campione italiano che la Federazione non gli aveva mai ancora consegnato. Ricorda quella volta che in autogrill il padre si arrabbiò moltissimo perché qualcuno gli disse che Benvenuti era suonato. “Ma tu lo conosci? Suonato sei tu, non Benvenuti”. E combatteva a Catania per il mondiale con Michele Piccirillo, nel 1997, quando Nino si presentò tutto sorridente perché stava atterrando Nadia Bertorello, che aveva incontrato dopo 30 anni e che avrebbe sposato il mese dopo. “Era una persona onesta, leale, schietta. Aveva una popolarità enorme ma non la faceva mai pesare. Era un uomo di altri tempi. Ed era un uomo sereno all’apparenza, per la sua infanzia e le sue vicende familiari ha sofferto anche molto”.

22 Maggio 2025

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