Boxe

Quando Nino Benvenuti incollò 18 milioni di italiani alle radio, la vittoria del titolo mondiale contro Emile Griffith

Al Madison Square Garden contro il campione dei pesi medi. La Rai che censurò il match in tv, gli italiani misero le sveglie e accesero le radio. “Come non si può essere amico di uno col quale ti sei battuto per 45 riprese?”

Sport - di Antonio Lamorte

20 Maggio 2025 alle 20:52

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FOTO DA LAPRESSE
FOTO DA LAPRESSE

Al Madison Square Garden di New York arrivarono gli italiani d’America, in Italia la Rai censurò il match per televisione: gli italiani vadano a dormire, che domani c’è da lavorare. E invece quelli che accesero la radio, fino a 18 milioni di ascoltatori per immaginare i pugni e le schivate di Nino Benvenuti, eroe della boxe azzurra, contro il campione del mondo dei pesi medi Emile Griffith, era il 17 aprile del 1967. Benvenuti è stato un bambino esule, un ragazzo orfano della madre, un giovane dell’Italia del Dopoguerra, un padre dilaniato dal suicidio del figlio: per tutti, un campione che non ha mai smesso di ispirare. È morto oggi a 87 anni.

Aveva esordito da professionista il 10 febbraio del 1961. A Trieste, contro Ben Ali Allala, vinse ai punti dopo sei round. Alle Olimpiadi di Roma del 1960 si presentò sul palcoscenico più luminoso dello sport mondiale con una medaglia d’oro nella categoria dei welter e la Coppa Val Barker, quella assegnata al miglior pugile del torneo – e quella volta partecipò e vinse l’oro anche un certo Muhammad Ali che ancora si chiamava Cassius Clay. Benvenuti animò una rivalità accesissima con Sandro Mazzinghi, altro eroe della boxe italiana. Erano come Coppi e Bartali, Rivera e Mazzola. Conservatore e progressista, tecnica e aggressività. Due incontri per il titolo mondiale dei Super Welter, due vittorie di Benvenuti, la seconda per knock down alla seconda ripresa. Era il 1965: la boxe riempiva lo Stadio San Siro di Milano.

La vittoria al mondiale del 1967 con Emile Griffith

A gennaio del 1967 Benvenuti aveva visto dal vivo Griffith negli Stati Uniti. Si può fare, pensò, anche se solo il francese Marcel Cerdan, prima di lui, tra gli europei era riuscito a conquistare il titolo mondiale in America. Gli italiani che misero le sveglie, per accendere le radio di notte. Per i giornali americani il campione in carica era imbattibile, una missione impossibile. Allo stesso tempo un razzismo neanche così tanto strisciante che voleva che il biondo occidentale potesse spodestare il campione dalla pelle nera. 14.251 gli spettatori paganti. Aerei dall’Italia agli USA apposta. A bordo ring anche gente come Rocky Marciano, Jake LaMotta, Sugar Ray Robinson. La cantante Milva. Frank Sinatra che faceva il tifo per Benvenuti.

Al secondo round Benvenuti atterrò Griffith con un gancio, al quarto fu un destro del campione a mandare al tappeto l’italiano. 10 riprese su 15 attribuite all’italiano da due giudici, 9 secondo il terzo. La decisione fu unanime: l’arbitro alzò al cielo il braccio di Benvenuti. Il match fu riconosciuto come “Fight of the Year” dalla rivista specializzata Ring Magazine. Seguirono altri due incontri: la rivincita fu una decisione non unanime in favore dello statunitense, al terzo match altra decisione unanime per l’italiano. I due pugili diventeranno amici, anni dopo Benvenuti andò in soccorso dell’ex avversario ridotto in miseria.

L’amicizia tra Benvenuti e Griffith

“L’Alzheimer, per noi pugili, è una sorta di malattia ‘professionale’ – raccontò in un’intervista a Il Corriere della Sera – A furia di prendere pugni in testa, ti arriva. Quando ho rivisto Emile nel 2010 a New York, abbandonato da tutti in trenta metri quadri, mi è venuto da piangere. Ho fatto quello che ho potuto. L’ho portato in Italia per farlo visitare. Ho organizzato una raccolta fondi per aiutarlo, fino al giorno della sua morte, nel 2013, in una casa di riposo a Long Island”. A chi chiedeva come si potesse diventare amico di un avversario, la risposta puntuale: “Come non si può essere amico di uno col quale ti sei battuto per 45 riprese?”.

Quel primo match epocale venne anche celebrato al Cinquantenario in una cerimonia ufficiale al CONI. Fu l’apice di Benvenuti che si ritirò dopo la sconfitta al terzo round nella rivincita del maggio 1971 con Carlos Monzon, l’argentino sbarcato a Roma come uno sconosciuto per il primo match vinto proprio contro il campione italiano e rimasto imbattuto per altri sette anni. E che morì in un incidente stradale dopo una vita maledetta, condannato per omicidio della moglie, in carcere per anni dopo esser stato un’icona sportiva mondiale. Benvenuti si caricò anche la sua bara sulle spalle a Buenos Aires nel 1995.

Quando morì Mazzinghi, nell’agosto del 2020, Benvenuti si fece quasi 400 chilometri per arrivare da Roma a Pontedera. Uno scatto rubato, appena qualche battuta ai giornalisti. “Sul ring l’ho sconfitto, ma non l’ho mai battuto”. I due si erano riconciliati negli ultimissimi anni dopo una rivalità che aveva diviso l’Italia. Record finale di Nino Benvenuti: 90 incontri, 82 vittorie di cui 35 per ko, 7 sconfitte, 1 pareggio. E l’Italia dello sport che lo piange e lo ricorda. Non resterà soltanto quello che è stato sul ring.

20 Maggio 2025

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