Le motivazioni della sentenza
Le prove dell’innocenza di Maysoon sotto gli occhi dei pm, che si sono girati dall’altra parte…
Il tribunale di Crotone l’ha assolta per non aver commesso il fatto. In merito alle dichiarazioni dei testimoni che la accusavano i giudici scrivono: “Non avvertita dalle autorità inquirenti l’esigenza di riscontrarle mediante l’escussione di altri soggetti migranti”
Cronaca - di Angela Nocioni

Leggetevi le motivazioni della sentenza del tribunale di Crotone che ha assolto per non aver commesso il fatto Maysoon Maijidi, tenuta dieci mesi in cella con l’accusa di essere una scafista. Leggetevele per intero, pubblichiamo il documento del tribunale nel sito dell’Unità. Spiegano cosa accade tutti i giorni nei tribunali italiani quando un essere umano finisce stritolato nelle fantasie di una pubblica accusa che, nonostante le evidenze dei fatti, pur di non smentire se stessa, si arrampica sugli specchi per mesi lasciando le persone in galera. Per fortuna in questo caso, il tribunale di primo grado ha avuto la serietà e l’equilibrio necessari a ricostruire lo svolgimento dei fatti. “Maysoon Maijidi è libera per non aver commesso il fatto” ha stabilito il 5 febbraio il tribunale presieduto dal giudice Edoardo D’Ambrosio.
Le motivazioni della sentenza di assoluzione
Le motivazioni della sentenza, uscite ieri, spiegano che innanzitutto “le dichiarazioni accusatorie rese nell’immediatezza delle indagini alla Polizia giudiziaria, non sono idonee a fondare un giudizio di colpevolezza dell’imputata innanzitutto per ragioni giuridiche-processuali. Essendo state rese da soggetti indagati (o “indagabili”) di reato connesso esse non possono essere considerate di per sé attendibili, ma devono essere valutate unitamente ad altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità. Inoltre e soprattutto, essendo state esse assunte al fascicolo del dibattimento ex art. 512 c.p.p. (per irreperibilità degli autori delle stesse), e quindi al di fuori del contraddittorio e della possibilità per la difesa di controesaminarli e di valutarne l’attendibilità, esse possono costituire la base «esclusiva e determinante» dell’accertamento di responsabilità solo se rese in presenza di «adeguate garanzie procedurali», individuabili nell’accurato vaglio di credibilità dei contenuti accusatori, effettuato anche attraverso lo scrutinio delle modalità di raccolta, e nella compatibilità della dichiarazione con i dati di contesto. Le dichiarazioni in questione, oltre che per ragioni giuridiche, risultano di per sé inattendibili anche per altre ragioni. Innanzitutto, esse risultano rese dai soli due soggetti che, in qualche modo, hanno dimostrato interesse a renderle, senza che sia stata avvertita dalle Autorità inquirenti l’esigenza di riscontrarle mediante l’escussione di altri soggetti migranti. Ciò è emerso appunto da quanto affermato dai testi di Polizia giudiziaria Barbera e Pilato, secondo cui Dara Dana All (uno degli accusatori n. d. r.) si sarebbe spontaneamente offerto di individuare l’imputata quale collaboratrice del capitano, segnalandola ad un mediatore culturale, addirittura dovendo ricorrere all’espediente di una “falsa” medicazione per avvicinarsi alla Majidi (che si trovava nei pressi dell’ambulanza nel porto di Crotone; come se non fosse stato sufficiente, al fine di riconoscerla, l’essere stati per cinque giorni sulla stessa piccola imbarcazione); ed anche l’altro testimone, Hussen Zada Hassan, sarebbe stato selezionato, quale persona informata sui fatti, in quanto “tra i più collaborativi” tra quelli a disposizione della Polizia giudiziaria (così, espressamente, il testimone di Pg Pilato, il quale ha anche specificato le modalità e le circostanze in cui avvennero le indagini nell’immediatezza, ed in particolare la circostanza secondo cui il giorno dello sbarco – 31 dicembre 2023 – gli ufficiali di Guardia di Finanza furono avvertiti solo nel pomeriggio che sarebbe stato tale corpo di polizia giudiziaria a dover svolgere le indagini, e non la Polizia di Stato (in quanto impegnata in un grande evento culturale della città); e che fu difficile reperire, in quel pomeriggio dell’ultimo giorno dell’anno, un difensore disponibile ad assistere i migranti”.
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Il difensore della ragazza, Giancarlo Liberati, dice: “Le motivazioni della sentenza fanno emergere in tutta chiarezza che gli inquirenti avevano sott’occhio sin da subito le prove evidenti del fatto che Maysoon era innocente ma non le hanno volute vedere e si sono anzi dati da fare per interpretare in modo opposto altri elementi che sono andati cercando. Non ci scordiamo che l’accusa ha continuato a sostenere che il telefono di Maysoon fosse rimasto acceso durante la traversata finché in Aula lo stesso perito del pm ha dovuto ammettere che si era sbagliato e che il telefono era spento”. Si legge nella sentenza: “Le dichiarazioni dei testimoni de quibus non risultano riscontrate, oltre che da altri soggetti migranti, da dati oggettivi (quali foto, video, comunicazioni telefoniche), che abbiano ritratto l’imputata intenta nelle attività illecite che le sono state contestate. Al contrario, sussistono evidenze che smentiscono tali dichiarazioni”.