Il racconto dell'attivista
Maysoon Majidi, storia dell’attivista curda accusata di essere una scafista e assolta: “Fuggivamo solo da guerra e tortura”

Libera, ma soprattutto assolta per “non aver commesso il fatto”. Il fatto che veniva contestato a Maysoon Majidi, la 28enne attivista curda fuggita in Italia perché perseguitata dal regime iraniano e immediatamente incarcerata nel nostro Paese, era di essere una “scafista” e dunque di favoreggiamento all’immigrazione clandestina.
Mercoledì 5 febbraio la regista iraniana di origini curde, attivista per i diritti umani, è stata assolta con formula piena dal Tribunale di Crotone. In Calabria era arrivata alla vigilia di Capodanno, il 31 dicembre 2023: una volta sbarcata assieme alle altre 76 persone a bordo del barchino giunto sulle coste di Babella era stata arrestata, accusata di essere complice degli scafisti e sbattuta in un carcere del nostro Paese per 10 mesi, fino alla liberazione in attesa del processo il 22 ottobre scorso perché cadono i “gravi indizi” su di lei.
Accuse nei suoi confronti che Maysoon, in una intervista al Corriere della Sera, definisce giustamente “incredibili”. “I primi tempi – racconta l’attivista curda – ero molto arrabbiata, mi sentivo male, avevo attacchi di panico. Aspettavo, aspettavo, aspettavo ogni giorno per difendermi ma sembrava che nessuno volesse sentire quello che avevo da dire. Sono stata sette mesi nel carcere di Castrovillari e altri tre a Reggio Calabria. Poi finalmente hanno capito che stavo dicendo la verità”.
Contro di lei c’erano le parole di due testimoni che la indicavano come collaboratrice di chi portava la barca: accuse false. “Non si sono mai presentati in udienza perché non li hanno mai cercati, anche se loro pubblicavano video su Facebook ed era facile trovarli”, ricorda oggi Maysoon.
Maysoon in carcere ha protestato per mesi contro l’ingiusta detenzione e accusa di essere una collaboratrice di trafficanti di esseri umani, con uno sciopero della fame che l’ha ridotta a pesare 38 chili. Nulla in confronto a quanto rischiava restando in patria. La sua fuga inizia infatti nel 2019, quando l’opposizione iraniana, ridotta ormai in clandestinità, la avverte: scappa, lascia il Paese o la tua vita sarà in pericolo. Lei, assieme al fratello Razhan, fugge nel Kurdistan iracheno: “Non avevamo scelta. L’alternativa era consegnarci all’Iran o vivere con le minacce e la paura addosso. Vorrei ricordare un dato: in Iran il regime ha impiccato, nel 2024, 687 persone per “reati contro Dio”, come dicono loro”, ricorda l’attivista curda.
Una volta ottenuto il contatto per la traversata in barca, lei e il fratello nell’agosto 2023 partono per Istanbul, ma si accorgono di esser stati truffati. “Così – racconta a Giusi Fasano – abbiamo dovuto pagare due volte, nel telefonino ho tutti i messaggi disperati per chiedere soldi e riuscire a partire dopo aver scoperto della truffa. Ma quei messaggi il pubblico ministero non li ha considerati”.
Al Corriere racconta anche i drammatici giorni trascorsi su quella barca, cinque giorni di navigazione assieme a 76 persone, tra cui 25 bambini. “Siamo partiti dalla Turchia con solo il nostro zaino, altro che acqua da distribuire…”, in riferimento alle accuse di aver aiutato il “capitano” dell’imbarcazione distribuendo acqua ai migranti. “Per cinque giorni su quella barca io, come tanti altri, ho vomitato e non ho mangiato niente”, spiega Maysoon ricordando la questione fondamentale: “Cercavamo solo un Paese sicuro. Con noi e come noi su quella barca c’era gente che fuggiva dalla guerra, dalla pena di morte, dalla tortura”.