Il secondo film da regista dell'attore
Al cinema ‘Nonostante’ di Valerio Mastandrea: risvegliare la vita dove non c’è più, il viaggio tra l’amore e la malattia degli uomini in sonno
“Siamo tutti Nonostante, sferzati dal vento e ci teniamo l’uno con l’altro per non volare via”. È da questa frase, tratta da Angelo Maria Ripellino -- poeta che è stato per anni in un sanatorio - che è nata l’illuminazione per girare il film
Spettacoli - di Chiara Nicoletti

“La vita nella non vita è forse la più grande idea di speranza, che anche quando non si è, si è qualcosa. Non pensavamo di aver fatto un film così spirituale”. Scherza così Valerio Mastandrea per sdrammatizzare uno dei concetti cardine del suo secondo film da regista, Nonostante. Presentato in apertura della sezione Orizzonti alla scorsa Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia e prodotto, tra gli altri, anche da Viola Prestieri e Valeria Golino, il film sarà nelle sale italiane dal 27 marzo con Bim Distribuzione.
Con Mastandrea nel ruolo del protagonista, l’argentina Dolores Fonzi, gli ottimi Lino Musella e Giorgio Montanini e la pungente e fondamentale Laura Morante, Nonostante racconta solo all’apparenza di anime ospiti di un ospedale dove i loro corpi giacciono in coma. In realtà è chiaro che la loro condizione clinica, per citare lo stesso regista “è metaforica”. “Sono le persone ferme che non fanno nessun passo per paura di tutto”. A ribaltare la situazione e rimettere in gioco questa staticità, arriva l’amore perché è di questo che parla Nonostante, “del coraggio di farsi svegliare dall’amore e vivere le conseguenze di quel risveglio”. Questo sentimento travolgente arriva per l’uomo interpretato dal regista, con le sembianze di Lei, Dolores Fonzi, nuova arrivata in ospedale e personalità dirompente fin dal primo incontro. Dalle note di regia di Mastandrea, l’intento del film: “una storia d’amore come quelle che scoppiano improvvisamente a una festa di scuola, di pomeriggio, a casa di sconosciuti, dove ti innamori senza un motivo reale e ti accorgi che la vita da quel giorno non sarà più la stessa di prima”. Ed ecco che se vivi un amore così, tornare a “vivere” e lasciare quella condizione significa dimenticare quel sentimento surreale e ultraterreno che stai vivendo e dunque vuol dire piangere dello star guarendo.
Con il suo co-sceneggiatore Enrico Audenino con cui ha iniziato a scrivere questa storia nel lontano marzo 2020, Mastandrea approfondisce: “Le mille derivate affluenti che abbiamo incontrato durante la navigazione di questa storia venivano mentre scrivevamo. Non erano premeditate, come l’assurdità dello stare meglio e se uno sta meglio piangere per questo. Mentre andavamo dentro le dinamiche di questa storia vedevamo che all’interno di questa condizione allegorica che avevamo creato loro, questi personaggi hanno assunto un’identità. Quando uno ha una vita piatta e dentro quella costruisce una propria identità, andarla a rompere significa rompere la propria identità che è quello poi che ti fa l’amore, no?”. Dalla platea, così come era successo a Venezia, affluisce qualche commento su esperienze di Nde, dall’inglese Near Death Experience, quelle meglio note come casi di pre-morte.
Mastandrea precisa subito la non correttezza scientifica del suo racconto: “Non abbiamo approfondito le Nde perché quando abbiamo deciso di raccontare la storia d’amore di due che stanno in coma, siamo andati a parlare con un medico che lavora in reparti che si occupano di neuroriabilitazione e appena abbiamo parlato con lei, abbiamo capito che non saremmo mai potuti veramente entrare in quel mondo lì, non dovevamo. Io spero, anzi, che la lontananza dall’aspetto clinico dei personaggi abbia restituito il rispetto e il pudore per quelle condizioni. A noi servivano così per giocare, perché il cinema te lo permette, il gioco inteso come strumento utile per arrivare a raccontare altro. Il naturalismo non doveva prevaricare la possibilità di distrarci con suggestioni tipo il vento. C’è anche nel mio primo film, Ride, una cosa simile, la pioggia dentro casa, per esempio”.
Nella storia del cinema, i film che hanno provato a immaginare quel limbo tra la vita e la morte, quella sottile distanza, sono molteplici. Tra i più rimarchevoli per il grande pubblico ci sono dei “classici” come Il Paradiso può attendere e l’immancabile Ghost. Che ci sia l’influenza di questi titoli nell’idea di questo mondo sospeso che racconta Mastandrea in Nonostante? Ammette di non essersi fatto influenzare: “Ispirazioni no, lo dico da ignorante – commenta. Noi abbiamo scritto di getto, cercando di prenderci molto sul serio, tra le suggestioni del vento al registro dell’assurdo in certe conversazioni, cercando di raccontare personaggi reali, normali e questo credo abbia creato un giusto rapporto tra registri che questo film mette in campo. Il fatto che sia leggero ma anche ruvido, sono gli ingredienti che volevamo mettere”. Ci pensa poi su l’attore quattro volte David di Donatello e cita un titolo: “C’era Paradiso amaro che non c’entra niente, dove la protagonista sta in una situazione simile e c’era una surrealtà nella maniera in cui il marito, il personaggio di George Clooney, gestiva questa situazione che si era venuta a creare. Alexander Payne è uno dei miei registi preferiti”.
Se nel suo primo film da regista, Ride, del 2018, con Chiara Martegiani, Mastandrea si era limitato a testarsi nel dirigere, rimanendo dietro la macchina da presa, in Nonostante, si è messo in gioco in una doppia veste, assumendosi anche il compito di protagonista della storia. Valore aggiunto o trauma da non ripetere? “Pensavo peggio – ammette – anche se avevo sottovalutato la fase del montaggio in cui devi stare dietro ad un attore che conosci benissimo, cioè te stesso. È stato un viaggio molto particolare.” Percorrendo il fil rouge dei film sui fantasmi, in corrispondenza con la Oda Mae Brown di Whoopi Goldberg in Ghost c’è, imprevedibilmente, per Mastandrea, uno schivo e forse tormentato Giorgio Montanini, l’unico che vede questi spiriti, persone in sosta, a volte in stand by. Perché introdurre anche in Nonostante, una figura ponte tra chi è in coma e chi vive? “È messaggero del gesto finale che chiude il film – risponde il regista. Ho chiesto a Giorgio perché sentivo quel suo tormento e inquietudine di fondo che, applicata ad un personaggio con questa sensibilità eccessiva, è qualcosa che gli procura rabbia. Essere potenzialmente il messaggero è devastante, ci serviva un personaggio che rompesse uno schema, dunque è sia strumentale ai fini narrativi che anche di contenuto perché le persone che anche nella realtà hanno queste capacità, sono affascinanti ma non credo se la passino benissimo”.
In chiusura, come aveva fatto a Venezia, Mastandrea saluta ricordando le parole del poeta da cui era nato il titolo del film e che aveva descritto la sua condivisa esperienza in un sanatorio così: “Siamo tutti Nonostante, sferzati dal vento e ci teniamo l’uno con l’altro per non volare via”. Che valore ha il Nonostante per il regista e attore Valerio Mastandrea? “Da questa definizione del poeta, abbiamo cominciato a chiamare i nostri personaggi i Nonostante, come se rispondessero ad una categoria di persone, che nel film e nella vita, nell’accezione più romantica del termine, immaginiamo come persone che, nonostante la paura che possa fare l’affrontare le proprie emozioni, riconoscerle e viverle, una volta almeno nella vita ci provano ad affrontarle e andare oltre. Come termine generico, Io penso che siamo tutti Nonostante, gente che nonostante quello che gli capita o nonostante ci sia qualcuno che non decide per loro, va avanti. È un termine che sta bene su tutti e non è un termine consolatorio ma costruttivo. Questa fiducia che ho, però, è momentanea”.