Il libro Sellerio
Storia di mia Vita, perché il romanzo sbandato e crudo di Janek Gorczyca meritava il Premio Strega
Un caso letterario, scritto con una lingua vera. Un racconto crudo, senza retorica, senza pietismi di un polacco trapiantato in Italia che ha combattuto in Afghanistan, lavorato in centrali nucleari, senzatetto tra tra marciapiedi e parchi, in edifici occupati, in carcere
Cultura - di Antonio Lamorte

Se non con un romanzo dalla lingua così cruda che la sua voce sembra uscire direttamente dalle pagine, che racconta di dolori e calvari di una vita sbandata senza scivolare nel trauma, che abita e si muove tra gli ultimi senza retorica e senza morale, che restituisce un senso all’autobiografia ai tempi dell’autofiction: se non con Storia di mia vita di Janek Gorczyca, pubblicato da Sellerio, allora chissà quando un altro caso editoriale del genere potrà avere un’attenzione ancora maggiore. Avrebbe meritato almeno una nomination al Premio Strega.
Gorczyca è nato nel 1962 in Polonia. Ha passato gli ultimi 30 anni vivendo per strada a Roma tra marciapiedi e parchi, in edifici occupati, appoggiandosi da amici, in appartamenti subaffittati, in carcere. Prima della vita da senzatetto e senza fissa dimora, ha vissuto la dominazione sovietica, ha lavorato presso centrali elettriche e nucleari tra Polonia e Russia, si è dato a commerci illegali, ai furti, si è sposato e ha divorziato dopo aver avuto un figlio che non sa che fine abbia fatto, è stato spedito in Afghanistan per la guerra che ha sfiancato l’URSS. A Capodanno del 1992 ha preso una borsa e se n’è andato: aveva pensato anche alla Finlandia ma infine ha scelto l’Italia.
- Qual è l’eredità che ci lasciano i nostri padri: “Il tagliapietre” di Cormac McCarthy, un ultimo capolavoro teatrale
- Continua la strage degli ultimi, due detenuti suicidati e un 19enne morto in un Cpr: tre vittime in 48 ore
- Chiniamoci dinanzi agli ultimi, i poveri e gli emarginati
- Prima di Papa Francesco c’era don Gallo: prete “eretico” che ha abbracciato in maniera radicale il tema degli ultimi
“Questo sarà un breve racconto di mia esperienza sulla vita per la strada. Tutto comincia nel 1998 di ottobre, io sto in una stanza a Campo dei fiori, contratto di lavoro scaduto, permesso di soggiorno uguale, ho un milione e mezzo di lire in tasca, e penso come riprendere tutto, ma non è facile”, si legge nell’incipit fulminante che dà un’idea di quello che saranno queste 150 pagine circa. La prosa è quella di uno straniero, non madrelingua, una scrittura che non esiste, ibridata dalla parlata di un polacco che vive per strada con il romanesco. È una scrittura che scorre a sorsate piene con pochi aggettivi. È affilata, cruda, una lingua vera e impossibile ma anche un racconto vero, senza retorica, senza pietismi.
Stando al rapporto annuale di Caritas Italiana, intitolato “Fili d’erba nelle crepe. Risposte di speranza”, pubblicato nel novembre 2024 aveva contato circa 5,7 milioni di persone in condizione di povertà estrema. Oltre 96mila i senzatetto e i senza fissa dimora nel 2021 secondo L’Istat. La maggioranza uomini, il 38% stranieri provenienti in oltre la metà dei casi dall’Africa. Per il 50% concentrati tra Roma, Milano, Napoli, Torino, Genova e Foggia. Quest’ultima l’unica piccola città con tassi elevati, la quota femminile risultava particolarmente pronunciata a Napoli. Secondo Feantsa, la Federazione Europea delle Organizzazioni Nazionali che Lavorano con i Senzatetto, son circa un milione e 300mila le persone senza fissa dimora in Europa. Erano 700mila nel 2015. La Commissione Europea ha istituito nel 2021 la Piattaforma Europea per la Lotta contro la Senza Dimora (Epoch) con l’obiettivo di eliminare il fenomeno dei senzatetto entro il 2030 sulla scorta dell’articolo tre del Trattato di Lisbona. Secondo Federcasa – dati gennaio 2024 – invece sono circa 50mila gli alloggi occupati oggi in Italia: 30mila i pubblici, 20mila quelli di enti o privati.
Ha scritto Giuseppe Rizzo su Internazionale: “Le indagini dell’Istat e gli articoli dei giornali li raccontano come possono, Gorczyca gli dà voce. E mostra la violenza di un sistema che allo stesso tempo trasforma la povertà in reato ma ha bisogno di lavoratori poveri e precari per funzionare”. Storia di mia vita ha avuto una genesi altrettanto avventurosa, grazie all’intuizione di Christian Raimo. “Conosco Janek da più di venticinque anni, l’ho incontrato che chiedeva l’elemosina davanti a una chiesa, a Talenti, e man mano siamo diventati amici, con lui e con la sua compagna Marta. Fin quando, dopo l’ennesimo sgombero di un casale abbandonato, era febbraio 2017, gli ho detto: dai tu e Marta potete stare qualche giorno a casa mia. Sono diventati cinque anni”.
“Durante la pandemia – ha raccontato sui social – gli ho detto: Janek, ma perché non scrivi, perché non scrivi la tua storia? Nessuno racconta cosa vuol dire vivere per strada. L’ha fatto, ha cominciato a buttare giù capitoli in stampatello su dei quadernoni, li ho ricopiati senza cambiare nulla su computer. Da subito quello che leggevo non soltanto mi sembrava interessante come testimonianza, ma aveva un che di magico: sembrava un libro, e soprattutto Janek sembrava un romanziere, capace di una lingua e di un ritmo inediti e incredibili. Ho chiesto a Mattia Carratello di Sellerio se poteva farmi un favore a leggere queste pagine, che io non mi sbagliassi per troppo affetto. L’ha letto ed è rimasto incantato anche lui, e così tutta la casa editrice e tutte le persone che poi l’hanno letto in bozze. Ora è in libreria, ed è un romanzo fantastico, più di questa storia editoriale già di per sé fantastica. Il mondo spesso è una merda, ma alle volte grazie a Dio non è così”.
È un libro dall’enorme potere letterario ed evocativo. È stato accostato a Terra Matta di Vincenzo Rabito e a La spartenza di Tommaso Bordonaro. Speranza, violenza, disperazione, sacrificio, malinconia, lavoro nero, resistenza, carcere, alcolismo. E amore: amore disperato, avventuroso, appassionato per Marta, morta di tumore nel 2022. “Anche lei rischia di rimanere per strada ma troviamo un posto per le da una paesana sua a Due Ponti e in breve anche lavoro fisso come badante a Valle Aurelia. Insomma decido di vivere sta avventura che poi è diventata storia vera”.
La casa editrice ha assicurato di aver messo pochissimo le mani sul testo. Di aver corretto soltanto qualche passaggio che appariva incomprensibile. È un libro sui margini, i reietti, gli ultimi. Un romanzo di strada, una parabola picaresca, un calvario nell’alcolismo. Anche un documento e una testimonianza che ricorda l’importanza di un lavoro vero, fatto bene, quanto possa sostenere e salvare. Un viaggio nei labirinti della burocrazia della sanità e della Giustizia. “Qui lo dico chiaro, non sono un eroe, ma la vita per strada è piena di sorprese. Alla fine arriva il giorno del giudizio”. È un libro vero, scritto con una lingua vera, diventato in pochi giorni un caso letterario, un prodigio che però non rientra nel listone del Premio Strega. Peccato.