A 'Che tempo che fa'
Cecilia Sala, il racconto della detenzione in Iran: “Interrogatori incappucciata per 10 ore. Non tornerò a Teheran”

Non tornerà in Iran, almeno “finché c’è la Repubblica islamica”, il regime che l’ha arrestata e tenuta in cella nel carcere di Evin, a Teheran, per tre settimane.
Parla così, per la prima volta in televisione, Cecilia Sala, la giornalista 29enne che il 19 dicembre scorso era stata arrestata in hotel nella capitale iraniana, dove si trovava per realizzare alcune interviste con un regolare permesso.
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L’8 gennaio scorso, dopo un triangolo diplomatico tra il governo italiano, iraniano e statunitense, è arrivata la sua liberazione: decisivo di fatto lo “scambio” con Mohammad Abedini Najafabadi, l’ingegnere svizzero-iraniano arrestato a Malpensa il 16 dicembre su richiesta americana, col ministro della Giustizia che ha revocato l’arresto estradizionale.
Ospite di ‘Che tempo che fa’, il programma condotto da Fabio Fazio, Sala ha ripercorso la detenzione a Evin, le tre settimane di attesa e il ritorno a Roma, con l’abbraccio alla famiglia e al compagno, il giornalista de Il Post Daniele Raineri.
Si parte dal giorno dell’arresto: “Mi hanno preso in camera, nella mia camera d’albergo. Stavo lavorando e hanno bussato e da quel momento non ho potuto toccare il mio telefono e non ho potuto fare nulla”. Trasferita a Evin, carcere in cui il regime iraniano spedisce i dissidenti, qui la giornalista de Il Foglio e autrice di podcast per Chora Media veniva interrogata “incappucciata, con la faccia al muro. In un interrogatorio sono crollata, mi hanno dato una pasticca per calmarmi – il suo racconto in tv – mi interrogava la stessa persona che parlava un perfetto inglese. Chi mi interrogava conosceva l’Italia, perché in un’occasione mi ha chiesto se preferissi la pizza con l’impasto romano o napoletano, e questa è una cosa che solo chi ha familiarità con l’Italia può chiedere”.
Interrogato che avvenivano “ogni giorno, per 15 giorni, incappucciata. L’ultimo interrogatorio, il giorno prima della mia liberazione, annunciata alle 9 di mattina dell’8 gennaio, era durato 10 ore”. Eppure, aggiunge Sala, “non mi hanno mai fatto male, non mi toccavano nemmeno, mi portavano in giro con un bastone perché non li toccassi”.
L’obiettivo, secondo Sala, era quello di farla crollare, fare sì che “non risultassi una giornalista”, ma una spia al servizio di una intelligence occidentale. D’altra parte a Evin è facile cedere alle pressioni: “I rumori che arrivavano dal corridoio erano strazianti: pianti, vomito e tentativi di farsi del male”, racconta la giornalista.
Nell’intervista a Fazio, Sala smentisce anche le voci su un ruolo di Elon Musk nella sua liberazione. La giornalista spiega che nessuno tra i suoi famigliari ha mai parlato direttamente col Ceo di Tesla e SpaceX, presidente-ombra con Donald Trump alla Casa Bianca. “Nessuno della mia famiglia e neanche Daniele Raineri hanno mai parlato con Elon Musk. Innanzitutto, diciamo che la mia famiglia prova a contattare chiunque in quei momenti e l’unica priorità dal loro punto di vista era liberarmi. Nessuno di loro ha mai parlato con Elon Musk ma Daniele, il mio compagno, contatta il referente di Elon Musk in Italia, Andrea Stroppa, e gli chiede se può far arrivare questa notizia dalla famiglia perché non la scopra dai giornali. L’unica risposta che ha avuto Daniele da Andrea Stroppa è stata “è informato””.
Adesso, ha raccontato Sala, “aiutata riesco a dormire“. Che poi ammette: “Sono stata fortunatissima a stare lì solo 21 giorni, non me lo sarei mai aspettata mentre ero in carcere e quindi il recupero è più rapido rispetto ad altre persone che sono rimaste lì centinaia di giorni”.