La scomparsa del giornalista

Furio Colombo, ultimo testimone dell’America che non c’è più: ora ci resta solo Trump

Nelle sue cronache, in bilico tra giornalismo e letteratura, il giornalista raccontò un Paese che aveva saputo riscoprire il suo spirito originario che riteneva tutti degni di avere una possibilità. Degli Stati Uniti di Kennedy però oggi resta poco.

Editoriali - di Dorella Cianci

19 Gennaio 2025 alle 14:00

Condividi l'articolo

©CRISTIANO LARUFFA/LAPRESSE
©CRISTIANO LARUFFA/LAPRESSE

Furio Colombo… O per meglio dire “laddove si sfuma il confine fra letteratura e giornalismo”, esattamente quello che non si spiega né si evidenzia nei manuali di letteratura italiana né dentro i master di giornalismo. E allora la scomparsa di questo autore del nostro tempo, a colloquio con i più grandi, è l’occasione per trasformare uno sterile e abusato “coccodrillo” in un interessante viaggio in alcuni suoi scritti, nati al di là dell’oceano, sempre alla ricerca della ridefinizione del «mito americano».

Furio Colombo ci lascia pagine letterarie degne della sua amicizia con Eco e Sanguineti, ma profondamente intrise di quel giornalismo che assapora la storia direttamente. Mentre attendiamo la sua nuova pubblicazione, ora postuma, su Israele (sempre per l’ottimo editore Baldini+Castoldi), l’invito per i nostri studenti è quello di riprendere fra le mani alcune pagine, a iniziare da L’America di Kennedy, con un sottotitolo ancor più interessante e decisamente impegnativo: «com’è cambiata la storia». Furio Colombo, nell’ottobre del 2023, ha scritto una nuova prefazione a questo volumetto, dicendo: “In queste pagine, nei giorni dell’assassinio di Dallas, mi sono domandato se esiste un’America immaginaria che ci siamo inventati per poter scaricare, su di essa, attese, passioni, malintesi, accuse, leggende. E allo stesso tempo descriverla e frequentarla, come il luogo in cui si possono compiere i sogni”. Ha poi aggiunto più avanti: “In pochi Paesi la parola «sogno» ha avuto tanta risonanza, tanta eco come nel territorio che sono gli Stati Uniti. «I have a dream» è il continuo ritorno all’idea che, all’origine, ci sia un sogno, così come era stato descritto da John Winthrop, primo governatore del Massachussets, che aveva immaginato l’America come la città della luce, la città che avrebbe indicato al mondo ciò che il mondo avrebbe dovuto essere”.

Non occorrono troppe postille e notarelle per spiegare quanto sia necessaria, ad oggi, questa riflessione, in un mondo che ridefinisce i suoi schemi, i suoi equilibri, ma sempre guarda a quel mito americano delle possibilità, intravedendo, ora in Trump ora in Musk, un concetto di futuro, salvifico e inquietante al tempo stesso. E poi, che cosa dire sul tema della pace, che facciamo spesso passare per la Casa Bianca, a torto più che a ragione? Furio Colombo, parlando di America, di quest’America spregiudicata che, ad oggi, riesce a manipolare i fatti e, in alcuni momenti, a falsare la politica, ci ha riportato, in molte occasione, alla mente la figura di Kennedy, troppo frettolosamente archiviato dalla cultura contemporanea come un uomo elegante, prudente, né di destra né di sinistra, con un destino mondano stroncato da un assassinio.

È stato solo questo Kennedy o, come ha più volte scritto e detto Colombo, Kennedy è stato anche Premio Pulitzer per il testo Ritratti del coraggio, dedicato ai politici che hanno avuto il coraggio di prendere decisioni impopolari e di affrontare l’avversione della maggioranza? Era questa l’America a cui un tempo si guardava, quella dei due principi fondanti: affermative action e equal opportunities. Implicitamente Furio Colombo, fino alla fine, ha rivolto agli intellettuali questa domanda: dove è finita l’America del filosofo ed educatore John Dewey, con la sua idea ostinata di scuola pubblica? Dove sono finiti i diritti civili in quel Paese che, proprio nell’era Kennedy, si era contraddistinto nell’idea non solo di combattere il razzismo, ma anche in quella di avvicinare le classi sociali fra loro, perché gli Stati Uniti sono la terra dei grovigli sociali e dei bei dislivelli, che danno vita alle opportunità?

Furio Colombo ci lascia dinanzi a queste grandi domande, dinanzi al fatto che non siamo ancora riusciti a comprendere dove si è incagliata la storia americana, che, pur fondandosi ancora sulla parola «sogno», ha assurdamente legato questo all’egemonia esclusiva del denaro. Anni fa, Mondadori pubblicò Il dio d’America. Religione, ribellione e nuova destra. Mettiamolo poi accanto a un suo libro pubblicato da Aragno, dal titolo La scoperta dell’America. Quali suggerimenti potremo cogliere su quel Novecento americano che ha dettato gusti e confini?

Nelle lezioni americane di Colombo si coglie, a tratti, quella necessità antica e implicita di «conservatorismo», che ha, in alcuni momenti della storia, messo accanto Bibbia e Costituzione, come iniziò a fare Barry Goldwater. Era l’America impegnata a vendere l’America ogni giorno a se stessa! Nelle sue ultime interviste e, poi, presentando il volume Trump power, Furio Colombo ha cercato di dire che certi atteggiamenti di deriva delle destre vengono da lontano, mettono davanti la Bibbia, dichiarano di amare Dio (un dio tutto loro), odiando gli uomini. Aggiunge, però, con molta chiarezza Colombo: “Nell’epoca di Trump, purtroppo, niente sorprende e le cose accadono in maniera pericolosa, ma tutto questo non rivela autentica forza, bensì fragilità, oltraggio ai valori autentici. Come in una nuova versione dei Viaggi di Gulliver, Donald Trump guarda dall’alto la piccola abitazione in legno detta «Casa Bianca»”. Furio Colombo ci lascia analisi, incontri, esperienze e scritti che, più avanti, ci sveleranno, ancor più lucidamente, come la deriva di destra trumpiana, immersa nella visione futuristica di Musk, diventerà sgradita persino agli stessi conservatori d’America.

19 Gennaio 2025

Condividi l'articolo