Il Giubileo del pontefice

Papa Francesco e l’elogio della fuga dal carcere: “Fateli evadere”

A Rebibbia il Papa non ha fatto un discorso pietistico ma ha lanciato una sfida alla politica, alla intellettualità e al senso comune. Basta prigioni, basta oppressione, basta punizioni, basta potere

Editoriali - di Piero Sansonetti

28 Dicembre 2024 alle 13:30

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Foto Vatican Media/LaPresse
Foto Vatican Media/LaPresse

“Si alzò allora il sommo sacerdote e quelli della sua parte, cioè la setta dei sadducei, pieni di livore, e dopo aver fatto arrestare gli apostoli li fecero gettare nella prigione pubblica. Ma durante la notte un angelo del Signore aprì le porte della prigione, li condusse fuori e disse: «Andate, e mettetevi a predicare al popolo nel tempio tutte queste parole di vita». Udito questo, entrarono nel tempio sul far del giorno e si misero a insegnare. Quando arrivò il sommo sacerdote con quelli della sua parte, convocarono il sinedrio e tutti gli anziani dei figli d’Israele; mandarono quindi a prelevare gli apostoli nella prigione. Ma gli incaricati, giunti sul posto, non li trovarono nella prigione e tornarono a riferire: «Abbiamo trovato il carcere scrupolosamente sbarrato e le guardie ai loro posti davanti alla porta, ma, dopo aver aperto, non abbiamo trovato dentro nessuno»”.

Queste righe che ho trascritto fedelmente sono la traduzione dal greco di un passo degli Atti degli Apostoli (5,17-23) scritto verosimilmente dall’evangelista Luca una trentina d’anni dopo la morte di Gesù. Sono la prima cronaca ufficiale di una evasione dal carcere. Realizzata da un gruppo di Angeli su mandato del Signore Iddio. Il Papa è andato nel giorno di Santo Stefano (primo martire della Cristianità) alla prigione di Rebibbia, a Roma, per parlare di carcere, per condannare il carcere, per chiedere l’amnistia e l’indulto, per dedicare l’anno santo ai prigionieri e – direi: scusate la leggera forzatura – anche per rivendicare questo passo delle Sacre scritture.

L’esaltazione dell’evasione. L’evasione come beffa al potere, alla borghesia, al giustizialismo, al perbenismo. I Sadducei erano la parte più ricca della popolazione di Israele, erano gli alleati di Roma, erano i reazionari, il potere. Ed è contro di loro che Dio organizza non un miracolo, ma il più sovversivo degli atti realizzabili dalla società civile: l’evasione. Mi vengono i brividi se cerco di paragonare lo spirito che c’era dietro al cristianesimo già 2.000 anni fa – e le caratteristiche della sua cultura, della sua morale, della sua capacità di fare scandalo, della sua ostinazione nella contestazione del potere – al senso comune di oggi, che pervade l’intera società, la politica, la comunicazione, l’intellettualità.

La forza del messaggio che l’altro giorno Bergoglio ha lanciato al mondo intero, e in particolare alla comunità cristiana, è gigantesca. Il Papa non ha chiesto misericordia per i carcerati. Non ha espresso semplici parole di indulgenza o di pietà. Ha proposto una rivoluzione nel senso comune e una sollevazione contro l’idea che la giustizia è pena, è oppressione, è chiusura, è negazione della libertà. Il Papa si è mosso e ha parlato sulla base del suo credo e della sua ideologia. Che è il cristianesimo. Ma ha lanciato una sfida che va oltre la ritualità del cattolicesimo e le tradizioni della religione. Ha ipotizzato una rivoluzione. Un ripensamento della società – dei rapporti umani, dell’organizzazione statuale – fondato sulla fine del potere e che parte non dall’alto, ma dal basso più basso, più basso: l’orrore e l’infimo di una cella. Che oggi è uguale identica alla cella nella quale san Pietro era stato messo in vincoli dallo Stato. E questo ripensamento tende a smantellare l’idea – sempre più diffusa tra i moderati e anche tra molti progressisti – che la civiltà avanza con la forza, l’uso della violenza, la guerra, e l’esaltazione della pena come regolatore della giustizia.

Questo ripensamento della società, proposto dal Papa, assomiglia molto ad una ideologia politica. Non credo, francamente, che lui non lo sappia. Penso piuttosto che abbia scelto di allargare il suo magistero spirituale alla sfera politica. Perché una Chiesa che prega, ed è attenta ai suoi dogmi religiosi e ai suoi riti e non si avventa contro le ingiustizie della vita pubblica, è una Chiesa perdente. Forse persino inutile. E così, anche l’altro giorno, davanti alla porta della prigione, Bergoglio ha bussato e ha chiesto concretezza al potere politico. Ha chiesto di mostrare rispetto per la cristianità e di concedere l’amnistia e l’indulto. Sfidando a viso aperto sia la lobby dei magistrati, sia il mondo dell’informazione, sia tutti i partiti e le correnti giustizialiste e populiste della destra ma anche della sinistra o comunque dell’opposizione.

E’ inutile ignorare questa novità. Oggi, nella società attuale e in questo campo di lotte ideologiche, dalla quali è scomparso il comunismo e il liberalismo traballa, sono rimasti due schieramenti a scontrarsi: quello della destra populista e iper liberista, che governa in Italia, in America, e avanza in tutto l’Occidente, e quello del papa, che raccoglie una parte non maggioritaria del mondo cattolico e frange sparse, ma ancora vive e vivaci, della sinistra e dell’area liberale. L’obiezione l’ho sentita molte volte: anche il Vangelo non ha valore se non lo si aggiorna ai tempi nuovi. Al terzo millennio.

Ecco, qui, credo, sta l’errore. Il problema non è quello di adeguare il Vangelo al terzo millennio, ma al contrario di adeguare il millennio al vangelo. La modernità è lì, nella geniale visione di Gesù Cristo. Dall’altra parte c’è l’arretratezza, la reazione.

28 Dicembre 2024

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