Addio all'ex sindaco di Milano

Chi era Paolo Pillitteri: grande assessore alla cultura e poi sindaco fu asfaltato dalla cattiveria del pool di mani pulite

Si mise in politica sulla spinta della mamma partigiana. Oscillò tra i saragattiani e il Psi di Nenni. Fu un grande assessore alla cultura e un grande sindaco. Poi il pool di Milano decise di asfaltarlo

Politica - di Bobo Craxi

6 Dicembre 2024 alle 16:30

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©M.SCROBOGNA / LAPRESSE
©M.SCROBOGNA / LAPRESSE

Paolo Pillitteri aveva la scorza dura dei valtellinesi e e la creativa intelligenza dei siciliani nei quali riconosceva le sue radici. Era uno di quei ragazzi che negli anni 60 immaginava che il cinema avrebbe potuto essere la sua vita. A cavallo fra il neorealismo e la Nouvelle Vague, scriveva, commentava e analizzava l’arte cinematografica, si appassionò soprattutto a Fellini. L’incontro con la politica fu successivo, fu piuttosto la madre partigiana che ne influenzò la passione determinata dall’empito risorgimentale che la lotta di liberazione aveva impresso, suggestionando le giovani generazioni del dopo guerra.

Fu un socialdemocratico classico, apprezzava Saragat più di Nenni, ma il corso del suo impegno fu deviato dall’incontro con Bettino Craxi. Fu arruolato nella “squadra” come l’amava definire, infatti i giovani dai quali si circondava il leader della corrente autonomista milanese, in lineare coerenza con il filone Turatiano, erano brillanti e determinati nella lotta politica: Carlo Tognoli, Claudio Martelli, Giorgio Gangi, Ugo Finetti ed altri ancora. Venivano svezzati all’impegno concreto misurandosi nelle elezioni amministrative nel “cinturone rosso e socialista” della provincia milanese. Tognoli era una specie di gemello, meno assorbiti o affascinati dall’intellettualismo del ‘68, entrambi conducevano campagne di opinione attraverso lo sguardo vivo documentaristico dello squilibrio sociale che il boom economico aveva prodotto in città.

“Milano o cara” fu un documentario in bianco e nero girato prevalentemente nei sobborghi della metropoli, ispirato certamente dall’opera di Visconti e Zavattini, dove si illustrava l’epopea dell’immigrazione dal sud al nord, quella delle valigie tenute con lo spago. Quando il Socialismo Unitario (Psi-Psdi) si divide, Pillitteri abbandona Nenni e soprattutto Craxi, e raggiunge Saragat. Si plasma così una figura autonoma dalla squadra, aderisce anche ai movimenti, reazionari si sarebbe detto un tempo, che rappresentavano la società civile milanese preoccupata per l’andazzo turbolento degli autunni prolungati della contestazione. Ma la svolta a sinistra nel paese alle amministrative del 1975 lo riportarono nella Sinistra Socialista, fu protagonista assieme a Tognoli del varo della nuova Giunta Rossa milanese e fu in quell’esecutivo un eccellente Assessore alla Cultura; Impacchettava monumenti (Christo), rilanciava Teatri in sintonia con Paolo Grassi e Giorgio Strehler protagonisti di stagioni memorabili; Nella svolta del Midas (l’hotel nel quale Craxi fu eletto nel 1976 segretario del partito), Pillitteri si ritrovó nel posto giusto al momento giusto.

La “squadra” di quei ragazzi era diventata parte della classe dirigente del Partito che lanciava la sfida della modernità alla DC e quella ideologica al PCI. Anni di intensa collaborazione milanese, ma al tempo stesso anni di fervente protagonismo politico socialista in Città e nella Regione. La stagione degli anni di piombo vide scomparire violentemente anche degli amici di Pillitteri, su tutti Walter Tobagi, giornalista cattolico e socialista trucidato nei pressi di casa. “Il delitto paga?” Si domandava in un saggio politico scritto in quell’occasione. I dubbi dichiarati sulla negligenza dei giudici nell’inchiesta sull’omicidio gli fecero meritare una condanna per diffamazione del pubblico ministero Spataro. Il caso rimbalzó qualche anno più tardi anche al CSM.

Furono gli anni del Governo a guida Socialista dove Paolo mantenne un profilo più basso coerentemente con la necessità che l’alta responsabilità assunta dal Segretario del Partito imponeva. Si occupava della politica dei media, infaticabile mediatore con la vorace ed aggressiva gestione della DC demitiana, che con l’avvento delle tre reti Rai aveva perduto il suo monopolio assoluto sull’etere, aveva agevolato la distribuzione allargata ai comunisti dei canali pubblici che dovevano infine misurarsi con il nuovo avvento: quello del Biscione berlusconiano. Alla fine del ciclo di Carlo Tognoli alla guida della città di Milano si avanzava una sua candidatura all’interno del Partito; per la verità mio padre Bettino, pur apprezzando le doti di Pillitteri, riteneva che fosse in parte prematura ed in parte inopportuna la sua nomina. Lo convinse il fatto che non solo i socialisti milanesi, Aniasi in testa, spingessero per la candidatura Pillitteri, ma che soprattutto il maggior alleato, il Pci ed i suoi dirigenti, aveva un’ottima considerazione di lui. Perciò fu eletto.

La sua guida a Palazzo Marino è simbolicamente rappresentata dall’intuizione del pubblicitario della Ramazzotti, é la “Milano da bere” croce e delizia di quella stagione, da un lato lo sviluppo impetuoso del terziario, delle nuove professioni, della 3ª linea del metrò “che avanza”, come cantava Franco Battiato, ma anche quella delle contraddizioni sociali che non mancavano. Della nuova immigrazione ma questa volta proveniente dal continente africano e non più dal Mezzogiorno d’Italia. Un sindacato dei trasporto pubblico di ispirazione fascistoide aveva bloccato una via di scorrimento principale in protesta contro la presenza di extracomunitari in quell’area creando un grande caos cittadino. Pillitteri, che era figlio della cultura del coeur in man, li affronta a muso duro apostrofandoli come nazisti e razzisti. Ma il segno del tempi cambiati fu che l’intemerata del sindaco fu considerata come l’ennesimo gesto dell’arroganza del potere. Si opponeva ad uno sviluppo senza controllo della città, lo scontro con la Fiat fu l’inizio della sua fine. La consorteria partitocratica gestiva allegramente le finanze pubbliche, tutti d’accordo ben s’intende.
Il 1 maggio del 1992, ufficialmente con l’arrivo dell’avviso di garanzia che ricevette assieme al gemello Tognoli, sancì la sua morte politica e civile.

Non si allontanò dall’impegno pubblico, continuava a scrivere e diede vita ad una breve stagione del quotidiano l’ ”Opinione,” inseguendo fantasmi politici e i debiti che si accumulavano. Rimase vicino alla comunità socialista, scriveva commedie ironiche sulle disgrazie di Tangentopoli, canzonando Di Pietro, definito: “evito peron dos pesos e dos misuros”; incoraggiava amici e compagni ed affrontava con fatalismo la sua salute cagionevole. Non riuscì mai più ad incontrare mio padre Bettino, ed il giudice Borrelli, una volta prono al potere del sindaco milanese, non gli negò l’ultima cattiveria impedendo la sua partecipazione al funerale di Tunisi. Sono passati trent’anni, probabilmente a Paolo Pillitteri non gli verrà negato il ricordo dell’amministrazione comunale a palazzo Marino, sempre se la Città a cui egli dedico il suo lavoro ricorderà di essere sempre “un gran Milàn” perché una prolungata persecuzione sarebbe irragionevole.

6 Dicembre 2024

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