Il femminicidio
Elena Cecchettin: “No stalking Filippo Turetta? Sei vittima solo se sei morta, alle istituzioni non importa delle donne”
L'accusa aveva parlato anche del controllo dei social e dell'acquisto di un'app spia. "Facile richiudere in cella per sempre una persona lavandosene le mani dicendo di aver fatto giustizia". Proiettile all'avvocato di Turetta, la solidarietà della famiglia Cecchettin
Cronaca - di Redazione Web
Non ci sta Elena Cecchettin: la sorella di Giulia Cecchettin che con il padre Gino Cecchettin ha contribuito a rendere quel caso, l’omicidio della 22enne di Vigonovo, in provincia di Padova, una questione politica, sociale, a mettere il tema del femminicidio e della violenza sulle donne al centro dell’attenzione mediatica. E però: Filippo Turetta è stato condannato dalla Corte d’Assise di Venezia in primo grado all’ergastolo, accolta l’aggravante della premeditazione, escluse quelle di crudeltà e di stalking.
Turetta era accusato di omicidio volontario aggravato da premeditazione e crudeltà, oltre che sequestro di persona, occultamento di cadavere e stalking. La decisione di non riconoscere gli atti persecutori ha sorpreso, soprattutto alla luce della valanga di messaggi che Turetta aveva inviato a Cecchettin – molti resi pubblici – che aveva deciso di lasciarlo ma che non riusciva proprio per l’atteggiamento minaccioso e vittimistico dell’ex. “Tu guardi quando vado a dormire, quanto tempo sto online, mi chiedi se sto scrivendo con qualcuno in base a quanto tempo sto online. Sono tutti metodi ossessivi che tu metti in pratica per controllarmi e a me fanno paura”, scriveva la 22enne in un messaggio.
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In tutto gli inquirenti avevano contato 225mila messaggi in due anni, circa 300 al giorno. L’accusa aveva parlato anche dei “reiterati atteggiamenti minacciosi, il controllo dei suoi social media, l’acquisto di app spia che consentissero di monitorare lo stato online di Giulia in modo anonimo, il controllo dei follower, gli incontri inaspettati senza essere attesi, gli approcci fisici sgraditi …”. Elena Cecchettin ha voluto anche ricordare che “il non riconoscimento dello stalking è una mancanza di rispetto anche alla famiglia della vittima”.
Elena Cecchettin sui social: “Sei vittima solo se sei morta”
“Una sentenza giudiziaria non corrisponde sempre alla realtà dei fatti. Si chiama verità giudiziaria, ed è quello che viene riportato dal verdetto. E basta. Non toglie il dolore, la violenza fisica e psicologica che la vittima ha subito. Ciò che è successo non sparisce solo perché un’aggravante non viene contestata, o più di una. E non toglie nemmeno il dolore e l’ansia che ho dovuto subire io personalmente in quanto persona vicina a Giulia. Inevitabilmente le persone intime alla vittima vengono trascinate negli stati di ansia e turbamento. Chiaramente non sto insinuando che il dolore che abbia provato Giulia sia paragonabile, tuttavia è giusto ricordare che il non riconoscimento dello stalking è una mancanza di rispetto anche alla famiglia della vittima”.
“Detto questo il non riconoscimento dello stalking (non parlo nemmeno dell’altra aggravante perché si commenta da sola la situazione) è un’ennesima conferma che alle istituzioni non importa nulla delle donne. Sei vittima solo se sei morta. Quello che subisci in vita te lo gestisci da sola. Quante donne non potranno mettersi in casi più palesi non viene riconosciuta una colpa. Però va bene con le frasi melense il 25 novembre e i depliant di spiegazione”.
“Inoltre, fare l’avvocato è una professione e tutti hanno diritto a una difesa e su questo non ci piove. Tuttavia questo significa non avere responsabikità. Sostenere che i comportamenti dell’imputato siano ‘ossessivi, quasi da spettro autistico’ e giustificare con wursta affermazione tutto wuello che è successo è vergignoso. Stiamo parlando di comportamenti che ledono alla libertà e alla vita di una persona, e associarle con così tanta leggerezza ad una neurodivergenza oltre che a banalizzare e sminuire queste azioni va anche a peggiorare i pregiudizi che nella nostra società già ci sono per le persone neurodivergenti e sullo spettro dell’autismo”.
“Concludo dicendo che il fatto che chi sostiene che tanto la condanna sarebbe stata la stessa anche con le altre due aggravanti non ha capito nulla. Se nulla può portarci indietro Giulia quantomeno può fare la differenza per altre donne nel futuro. È facile richiudere in cella per sempre una persona lavandosene le mani poi e dicendo di aver fatto giustizia. Ma è questa la vera giustizia? Se non iniziamo a prendere sul serio la questione tutto ciò che è stato detto su Giulia che doveva essere l’ultima sono solo prole al vento. Sì, fa la differenza riconoscere le aggravanti, perché vuol dire che la violenza di genere non è presente solo dove è presente il coltello o il pugno. Ma molto prima. E significa che abbiamo tempo per prevenire gli esiti peggiori. Sapete cosa ha ucciso mia sorella? Non solo una mano violenta, ma la giustificazione e menefreghismo per gli stadi di violenza che anticipano il femminicidio”.
Cos’è lo stalking
Il reato di atti persecutori, chiamato anche stalking, articolo 612 bis, si configura quando si verifica una condotta reiteratamente molesta o vessatoria verso una vittima, bersaglio di minacce o molestie, pedinamenti, destinatario di chiamate e messaggi ossessionanti, atteggiamento ossessivo anche sui social network. E così la vittima è costretta a vivere in una continua condizione di allarme e turbamento emotivo. A volte è costretta a cambiare abitudini di vita. Lo stalking è punito con una pena che va da minimo sei mesi a un massimo di cinque anni. Se a mettere in atto lo stalking è un coniuge o l’ex si configurano degli aumenti di pena. Altre aggravanti se la vittima è minore, incinta o affetta da disabilità. Per conoscere le ragioni che hanno spinto i giudici della Corte d’Assise di Venezia a escludere l’aggravante, bisognerà attendere le motivazioni della sentenza.
Il proiettile all’avvocato di Filippo Turetta
L’avvocato Giovanni Caruso, professore di diritto pensale all’Università di Padova, e difensore di Filippo Turetta, ieri ha ricevuto una busta anonima con tre proiettili. “Che Filippo Turetta fosse letteralmente ossessionato da Giulia è fuori discussione – aveva dichiarato – ma il delitto di atti persecutori non è un delitto di condotta, è un delitto di evento e il legislatore ha ritenuto di incriminare i comportamenti molesti individuando tre conseguenze sulla vittima: il perdurante e grave stato di ansia o di paura, il fondato timore per la propria o altrui incolumità e il cambiamento delle proprie abitudini di vita. Ne basta una delle tre perché ci sia stalking. E noi non siamo riusciti a individuarne”. Sull’episodio dei proiettili indagano Squadra Mobile e Digos. “Una notizia inquietante e inaccettabile in una società civile”, le parole di Gino Cecchettin che ha espresso solidarietà all’avvocato.