Ma dai tribunali altri stop
Migranti in Albania, la nave Libra riparte con sole 8 persone a bordo: la comica e costosa propaganda meloniana
La nave Libra della Marina militare torna a navigare verso l’Albania. A bordo dell’imbarcazione incaricata dall’esecutivo di Giorgia Meloni di trasferire nel Paese i migranti che possono accedere alle cosiddette procedure accelerate di frontiera, ci sono però solamente otto migranti: la metà dei 16 presenti nel primo tragicomico viaggio della Libra verso l’Albania, terminato col ritorno in Italia del gruppo dopo la mancata convalida del trattenimento nel Cpr di Gjader da parte del tribunale di Roma.
L’arrivo della Libra nel porto di Schengjin è previsto per la mattinata di domani: dopo ulteriori controlli i migranti verranno trasferiti nel Centro di Gjader dove i migranti attenderanno l’esito della loro richiesta di asilo. Anche questa volta è possibile, come già successo in precedenza, che il loro trattenimento non venga convalidato dalla magistratura italiana sulla base di una sentenza europea difficilmente aggirabile dalle leggi italiane e dal decreto “Paesi sicuri”, e che gli 8 dovranno quindi essere quindi riportati in Italia.
La nave Libra in Albania con 8 migranti a bordo
Inizialmente era previsto il viaggio verso l’Albania di nove migranti tra coloro che due giorni fa sono stati soccorsi in acque internazionali dalle autorità italiane: un uomo bengalese è stato giudicato troppo anziano e in condizioni di salute troppo precarie per non essere considerato vulnerabile. Secondo Repubblica alle procedure di pre-screening a bordo della nave della Marina militare sono state sottoposte diverse centinaia di persone (sulle oltre 1200 giunte in due giorni a Lampedusa) con l’obiettivo di raggiungere il numero di 60-70 migranti fissati a inizio missione come quantità minima per il trasferimento e la messa in moto verso l’Albania della Libra, ma nessuno oltre gli 8 poi partiti verso Schengjin avrebbe rispettato i criteri fissati dal “decreto Paesi sicuri”.
È così che il pattugliatore della Marina è partita da Lampedusa con soli otto migranti a bordo: tutti maschi, soli, non vulnerabili e provenienti da Paesi cosiddetti “sicuri”, come da volere del Viminale. Con loro sull’imbarcazione, lunga 80 metri e che potrebbe trasportarne duecento, un equipaggio di settanta persone.
Magi: “Enorme spreco di denaro pubblico”
Quanto basta al segretario di +Europa Riccardo Magi, da sempre in prima linea sulla questione migranti, per definire quanto sta accadendo tra Italia e Albania “comico”. “La grande strategia di Meloni e Salvini di contrasto all’immigrazione ha portato oggi a un nuovo enorme successo: ben 8 persone in questo momento sul pattugliatore Libra stanno raggiungendo i Cpr in Albania. Siamo alle comiche, se non fosse che i Cpr albanesi sono fuori dal diritto europeo e costano ben un miliardo di euro ai contribuenti italiani, che pagano per dei centri che finora hanno ospitato solo 12 persone”, l’accusa di Magi.
Per il parlamentare si tratta anche di “un enorme spreco di denaro pubblico, una ignominia sul nostro Paese che fa un altro passo fuori dal diritto europeo, una triste pagina per i diritti umani. Meloni sta deliberatamente scegliendo di andare allo scontro con la ragionevolezza, con il diritto e lo fa contro ogni interesse degli italiani. Ammetta piuttosto il fallimento, chiuda i Cpr in Albania e chieda scusa”.
Anche il tribunale di Palermo si appella alla Corte Ue
Sul fronte giudiziario il governo Meloni deve nuovamente fare i conti con pronunciamenti che disapplicano i suoi provvedimenti. Dopo le ultime pronunce dei tribunali di Roma e Catania, che hanno disapplicato il nuovo decreto “Paesi sicuri”, questa volta è il turno di Palermo.
La sezione migranti del tribunale di Palermo ha sospeso il giudizio di convalida del trattenimento di due migranti, disposto in applicazione dei cosiddetti decreti Cutro in materia di procedura accelerata in frontiera, dal questore di Agrigento.
Il tribunale ha infatti chiesto alla Corte di Giustizia Europea di chiarire se il diritto Ue debba essere interpretato nel senso che un Paese terzo non possa essere definito sicuro, “qualora vi siano categorie di persone per le quali esso non soddisfa le condizioni sostanziali di tale designazione, enunciate nelle direttive Ue”.