Il caso dossier mafia-appalti
Ottaviano Del Turco voleva sapere di mafia-appalti: così fu zittito
In una vecchia intervista a Massimo Bordin l’ex presidente dell’Antimafia denunciò come anche la sinistra gli mise i bastoni tra le ruote
Editoriali - di Piero Sansonetti
Ottaviano Del Turco, alla fine degli anni novanta, si occupò del dossier mafia-appalti (che era stato archiviato cinque anni prima dalla procura di Palermo) ma trovò grandi resistenze anche nello schieramento di centrosinistra. E occupandosi di quel dossier – in quanto presidente della commissione antimafia – chiamò in commissione, per deporre, l’allora tenente dei carabinieri Carmelo Canale. Il quale era stato uno dei più stretti collaboratori di Paolo Borsellino. Però la commissione antimafia non era contenta di ascoltare Canale e così Del Turco dovette accontentarsi di una audizione riservata e secretata tenuta davanti alla sola presidenza dell’Antimafia.
A rendere pubblica questa notizia è stato Damiano Aliprandi, in un articolo che ha scritto su il Dubbio. Aliprandi ha scovato nella rete una intervista rilasciata diversi anni dopo (nel 2004) da Del Turco a Massimo Bordin, direttore di Radio radicale. In questa intervista Del Turco racconta che quella audizione avvenne in un clima di grande tensione, che Canale diede molte informazioni interessanti e che fu proprio lui ad impedirgli di fare i nomi di due magistrati che secondo suo cognato – il magistrato Antonino Lombardo, morto (forse) suicida ma i suoi familiari pensano che sia stato ucciso – avevano avuto un ruolo non chiaro all’interno della procura.
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Sono passati molti anni da allora. La deposizione di Canale resta segreta. Forse l’attuale commissione Antimafia che, meritoriamente, ha ripreso a lavorare sull’uccisione del magistrato Paolo Borsellino, potrebbe tornare a quella seduta, desecretare la deposizione di Canale e poi chiamarlo a testimoniare di nuovo e, se crede, a fare i nomi. Di sicuro la vicenda dell’uccisione di Borsellino e della successiva archiviazione di mafia-appalti (alla quale il magistrato, secondo moltissime testimonianze, era contrarissimo) è tornata prepotentemente alla ribalta. Sia per le indagini della procura di Caltanissetta, che hanno portato a indagare per il reato di favoreggiamento della mafia Gioacchino Natoli, che è stato uno dei magistrati punta della procura di Palermo, già dai tempi del procuratore Giammanco, sia per il lavoro iniziato dalla commissione parlamentare antimafia.
A rendere più clamoroso ancora il caso è la vicenda dell’ex procuratore generale di Palermo, e oggi senatore 5 Stelle, Roberto Scarpinato, che è stato sorpreso in alcune intercettazioni mentre parlava con il suo ex collega Natoli (inquisito per favoreggiamento alla mafia) nei giorni precedenti alla audizione proprio di Natoli davanti all’Antimafia. Scarpinato giustamente ha chiesto che le intercettazioni siano almeno per il momento secretate, visto che la legge vieta di intercettare i parlamentari. Osservazione giustissima, che solo suona curiosa perché rilasciata da uno dei pilastri dei 5 Stelle, che hanno sempre gridato lo slogan “intercettateci tutti”. E perché è stata consegnata ai giornali proprio mentre i 5 Stelle e i loro giornali tuonano contro le presunte leggi bavaglio che limiterebbero la possibilità di pubblicare alcune intercettazioni senza riscontro che riempiono di fango gli imputati.
Avevamo chiesto nei giorni scorsi a Scarpinato di risolvere il problema chiedendo proprio lui che le sue intercettazioni fossero rese pubbliche. Ma non ha voluto seguire il nostro consiglio, probabilmente perché preso finalmente da un empito garantista che tutti noi speriamo durerà a lungo. (E speriamo che questo empito lo stesso Scarpinato trasmetta anche al Fatto che in questi giorni sta alternando copertine contro i bavagli e copertine a favore dei bavagli. Confondendo un po’ i lettori…).