La recensione
Ogni vita è un labirinto, in ogni anima c’è un Minotauro: l’ultimo libro di Giorgio Ieranò sul mito immortale di Creta
Il racconto di Arianna e Teseo, di Minosse e Pasifae, del derby tra Atene e Creta, la civiltà minoica come "primo anello della catena europea". Un libro che è il filo del gomitolo, l'invito a scendere nell’intreccio per arrivare al cuore del mito
Cultura - di Antonio Lamorte
Soltanto qualche mese fa, la notizia: il ritrovamento di un sito archeologico sulla collina di Papoura, a nord-ovest della città di Kastelli. Rovine disseminate di resti animali, risalenti a circa quattromila anni fa, diametro di circa 48 metri, una superficie di 1.800 metri quadrati, otto anelli di pietra disposti su diversi livelli, l’interno diviso in quattro quadranti. E dalla forma di un labirinto: particolare che se si tratta di Creta, l’isola che ha dato il via alla cultura Mediterranea, la terra custode di un enigma, di un mito ancora aggrovigliato e intricato tutto da interrogare e sciogliere, non può passare inosservato.
Per il filosofo e storico statunitense Will Durant l’isola dove nacquero in una grotta Zeus e tutti gli altri dei, terra natale e spazio altro, prima talassocrazia, rappresenta “il primo anello nella catena europea”. A oggi è a Cnosso dove milioni di turisti, tra una spiaggia dalla sabbia rosa e una baia dalla laguna trasparente, arrivano da tutto il mondo a visitare il Palazzo di Minosse. Luogo ancora misterioso, palazzo fastoso ed enorme, luogo del potere amministrativo, economico e religioso, forse esso stesso un labirinto, scoperto dall’archeologo britannico Arthur Evans all’inizio del Novecento, ambientazione di un mito intramontabile.
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Storia data per scontata, fondante e ripetitiva, tramandata e accresciuta nel racconto orale, cantata da un aedo in qualche taverna prima di approdare alla pagina, scritta in Lineare B o chissà qualche alfabeto, incisa e scolpita e dipinta su anfore e tele, purtroppo abbandonata alle ore distratte tra i banchi di scuola come altri classici e che come altri classici non ha esaurito di dire tutto quello che voleva dire. A sciogliere la matassa – pardon la banalità – il grecista Giorgio Ieranò nel suo Il Racconto del Labirinto, edito da Einaudi, un libro fresco e intelligente, che letteralmente legge dentro e attraverso il mito, salta da una fonte all’altra senza dare le vertigini, restituisce codici, suggerisce significati.
Compaiono tutti i protagonisti della vicenda. Da Zeus a Europa, da Minosse a Pasifae, dal Minotauro a Teseo, da Dedalo a Icaro, da Arianna a Fedra e Ippolito. Questa vendetta degli dei che ricade sull’uomo ma che colpisce la donna, questo figlio non cercato ma stigmatizzato per secoli prima che potesse trovare compagnia o quantomeno comprensione. “Il mito – spiegava il grecista Umberto Albini nell’introduzione a I miti greci di Robert Graves, Longanesi – è bisogno di spiegare la realtà, di superare e risolvere una contraddizione della natura (come nasca il primo uomo, per esempio), il mito è spiegazione di un rito, di un atto formale che corrisponde a esigenze della tribù (l’invocazione della pioggia), il mito è struttura delle credenze di un gruppo, di un etnos (la condanna dell’incesto) ecc. ecc. ma, come dice la parola, il mito è innanzitutto un racconto: c’è una storia da presentare, che ha lati terribili, ma anche spesso risvolti patetici o sorridenti, ci sono dei personaggi in azione, una trama che si snoda”.
E quindi la permalosità degli dei, il ratto della donna, quella sedotta e abbandonata, il desiderio sessuale come ossessione, l’inevitabilità del destino, la tessitura come way of life, la solitudine border line, la grandezza di cadere dall’alto, la mediocrità di cadere basso, il toro come simbolo di fertilità e forza e fecondità e sfida alla natura e agli dei come un salto sulla groppa della taurocatapsia o un duello finale nella tauromachìa, il derby tra Creta e Atene che avrebbe segnato il passaggio da un’era all’altra.
E tracciata da più parti nel palazzo di Cnosso la labrys, l’ascia bipenne simbolo del potere, parte dell’etimologia di “labirinto”, forse l’arma utilizzata per uccidere il “ragazzo delle stelle”, mezzo uomo e mezzo toro. Labirinto anche come compito ed enigma della gestione del potere dunque. Ma è un senso che resta inafferrabile, anche per questo attuale e interrogabile, non scansionabile. Il libro di Ieranò è l’estremità del filo, l’invito al gomitolo che possiamo provare a sciogliere con leggerezza, scendendo nel buio dell’intreccio di dedali e interrogativi per arrivare al cuore della danza. “Il Labirinto – scrive in uno dei passaggi più illuminanti – non è in assoluto il luogo da cui è impossibile uscire. È invece il luogo da cui si può uscire, seppure passando attraverso un sentiero difficile e intricato, che prevede il superamento di una prova fatale e, appunto, la conquista di un centro occulto presidiato da un mostro”. Appartiene a tutti, avremo sempre Creta e il suo labirinto.