Il romanzo Einaudi
Quello che non abbiamo chiesto mai alle persone della nostra vita: la recensione di “Dimmi di te” di Chiara Gamberale
Il ritorno della scrittrice, un romance letterario svelto e serrato. Una madre single, una vita impantanata, un incontro per caso. "Dimmi di te" ci ricorda qualcuno e quello che le persone combinano alla nostra esistenza
Cultura - di Antonio Lamorte

Quando è che ce li andiamo a cercare, le persone della nostra vita passata, delle nostre vite passate. Quelli che pretendiamo non siano cambiati, anzi sì: che avranno seguito sicuramente la naturale evoluzione dei loro caratteri quando erano compagni di banco, di merende, di partito, di squadra, di vita. Più che persone, esseri umani in carne e ossa, sono miti quelli che Chiara, la protagonista del romanzo Dimmi di te di Chiara Gamberale, edito da Einaudi, va a cercare, ma proprio fisicamente, nel suo reportage a ritroso, a stento, in direzione ostinata e contraria al futuro che non riesce più a immaginare, a una prospettiva impantanata nella palude del suo presente.
Quello che cambia tutto è un trasloco, nel Quartiere Triste, borghese e opposto alla mansarda dove aveva vissuto la sua vita boema. Chiara non è sola: con lei c’è Bambina, è una madre single – in Italia quelle mononucleari sono il 17,3% delle famiglie, dati Istat al 2023 – che non è la normalità ai tempi del governo diopatriafamiglia e che come tante altre coppie può contare soltanto su l’unica forma di welfare reale in Italia: i suoi genitori, i nonni della piccola, il cui modello familiare aveva passato a criticare per circa vent’anni. Quello che innesca tutto, quando il blocco della scrittrice la tormenta e mentre la sua vita sociale è inceppata, è uno che gli sbatte contro in un negozio. È un ragazzo dei tempi del liceo: le piaceva, ricorda bene.
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Che fine hanno fatto i nostri amici, gli ex, che fine le vite che avevano sognato e quella che hanno scelto o che gli è capitata, la loro versione che stavano seminando, o improvvisando, e quella che sono diventati? “E tu? Tu come hai fatto? A tenere insieme quello che ti fa splendere e quello che ti consuma, a scegliere, a puntare tutto su un solo momento, su quell’incontro?”. Le sue interviste a esseri umani straordinari, ma della sua, di vita, vanno a cercare non i più presenti, i più affini o complici, ma le stelle polari, come li chiama lei, quelli che hanno indirizzato gusti e scelte. Il rappresentante d’istituto, la più figa del liceo, il tenebroso che non se la filava, l’anima affine di una manciata di giorni all’estero. A tutti la stessa domanda: dimmi di te.
Com’è che sei arrivato a questo punto, come hai addomesticato il tuo monologo interiore, come lo hai intrecciato a un’altra vita, che cos’è l’amore, cos’è la coppia, una prolunga o una bacinella per il vomito, com’è che non si sparisce dentro all’altra persona? “Ero io che dovevo dartelo o eri tu che dovevi prendertelo, il permesso di rimanere te, nonostante noi?” Domande poste da una posizione chiara: quella di chi è scomodo, non è risolto, ancora incompleto, inadeguato. E che nasconde La Cosa, qualcosa di taciuto che poi è quello che la letteratura ha il compito di affrontare e di dire. È un pretesto narrativo formidabile, perché personalizzabile da ognuno, immaginifico, anche divertente.
Chiara Gamberale ha scritto un romance letterario svelto ma serrato, pieno di interrogativi, qualche volta prolisso, a tratti smielato, sull’ascolto. Ci rimbomba dentro il passato, i suoi protagonisti e le sue pare, le sliding doors e i turning point di una vita anzi no, i traumi, i modelli che ci impone la società e i ruoli da cui non riusciamo a uscire, la solitudine di una vita che si incastra e la nostalgia di tutto quello che poteva essere il futuro, quando e come e perché si va a finire dentro a una vita e si salutano tutte le altre possibili. Gamberale ha fatto con un sentimento, uno stato d’animo quello che Sally Rooney ha fatto con una generazione. “Se felice significa facile, significa scemo. Se felice significa facile, a chi è che gliene può fregare qualcosa”. Dimmi di te ci ricorda di quel bambino, il capriccio e il graffio che eravamo, quello che può indicarci come crescere, e che sono certe persone a portarci dove va a finire la nostra vita. È destinato a fare molta strada.