Anniversario 7 ottobre: un anno dopo
Israele prepara l’attacco all’Iran: è guerra senza fine
A Teheran ci si prepara alla risposta dello Stato ebraico, mentre nel Paese dei Cedri l’Idf sta continuando l’operazione di terra. Il Papa ha lanciato un messaggio ai cristiani in Medio Oriente
Esteri - di Umberto De Giovannangeli
Un anno dopo, il Medio Oriente si scopre più destabilizzato, più insicuro e, soprattutto, più disumanizzato. Un anno dopo, il Medio Oriente sta sempre più precipitando verso una guerra totale. Un anno dal massacro del 7 ottobre compiuto da Hamas nel sud di Israele, a cui seguì lo scoppio della guerra a Gaza (oltre 42mila morti, la maggior parte donne e bambini) il Medio Oriente e il mondo intero sono con il fiato sospeso per l’atteso attacco dello Stato ebraico all’Iran.
Il 1° ottobre Teheran aveva lanciato circa 200 missili balistici contro il territorio israeliano, definendola una risposta alle uccisioni di Hassan Nasrallah in Libano e a quella, che risaliva al 31 luglio, del capo di Hamas Ismail Haniyeh nel cuore della capitale iraniana. Teheran, tramite fonti dell’esercito, ha fatto sapere che ha già pronto il piano di risposta da far scattare in caso di attacco israeliano: “se Israele agisce, il contrattacco iraniano sarà attuato”, ha detto la fonte citata dall’agenzia Tasnim, spiegando che il piano prevede diversi tipi di attacchi e che verrà poi presa una decisione immediata sull’esecuzione di una o più operazioni a seconda di quale sarà la mossa dello Stato ebraico.
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A Tel Aviv proseguono i preparativi per la rappresaglia. Il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ed il capo di Stato maggiore, Herzi Halevi, non avrebbero partecipato alla riunione ristretta convocata ieri sera dal primo ministro, Benjamin Netanyahu, al termine della sessione straordinaria del gabinetto e che si è occupata, tra l’altro, della risposta all’Iran. Lo ha riferito il sito di Yedioth Ahronoth.
Da un attacco imminente a una invasione in atto. Quella del Libano.
«L’aggressione israeliana, che è iniziata a Gaza e che ora continua in Libano, sta spingendo l’intera regione verso l’abisso di una guerra totale». Lo ha dichiarato a Beirut il ministro degli Esteri giordano, Ayman Safadi, nel corso di una conferenza stampa congiunta con il premier libanese, Najib Mikati. «Stiamo affrontando un disastro e una pericolosa escalation che minaccia la regione», ha aggiunto il capo della diplomazia di Amman, indicando in Israele il “responsabile di questa aggressione”. Safadi ha, quindi, sottolineato che la Giordania esorta il Libano ad eleggere un nuovo Presidente e appoggia l’attuazione della risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
La diplomazia latita, è l’unico linguaggio “parlato” in quella cruciale e devastata area del mondo, è quello della forza. La 91esima Divisione delle forze israeliane (Idf) ha iniziato a partecipare alle operazioni di terra in Libano. È la terza divisione impegnata nella battaglia di Israele contro Hezbollah. Un dispiegamento che, osserva il Guardian, solleva “dubbi sulla portata dell’operazione”, sebbene Israele abbia insistito sul fatto che l’operazione di terra, iniziata una settimana fa, è “limitata” e “mirata”. Le immagini notturne diffuse ieri mostrano una colonna della fanteria che si muove in Libano con zaini pesanti e materassini, suggerendo – evidenzia ancora il giornale britannico – che si tratti di “qualcosa di più di una breve incursione”.
Israele non fornisce numeri precisi sul numero esatto di truppe in Libano (né nella Striscia di Gaza). Una divisione dell’Esercito israeliano può comunque arrivare a diverse migliaia di soldati. Cento aerei dell’aeronautica militare israeliana hanno attaccato ieri oltre 120 obiettivi terroristici di Hezbollah nel sud del Libano in un attacco durato più di un’ora. Lo riferisce l’Idf, aggiungendo che sono stati colpiti obiettivi di unità del fronte meridionale, delle forze Radwan, un sistema missilistico e il quartier generale dell’intelligence di Hezbollah nel sud del Libano.
La lettera del Papa al Medio Oriente
«Fratelli e sorelle, penso a voi e prego per voi. Desidero raggiungervi in questo giorno triste. Un anno fa è divampata la miccia dell’odio; non si è spenta, ma è deflagrata in una spirale di violenza, nella vergognosa incapacità della comunità internazionale e dei Paesi più potenti di far tacere le armi e di mettere fine alla tragedia della guerra». Il Papa, nel giorno del drammatico anniversario dell’attacco di Hamas ad Israele, ha scritto una lettera ai cattolici del Medio Oriente. «Il sangue scorre, come le lacrime; la rabbia aumenta, insieme alla voglia di vendetta, mentre pare che a pochi interessi ciò che più serve e che la gente vuole: dialogo, pace. Non mi stanco di ripetere che la guerra è una sconfitta, che le armi non costruiscono il futuro ma lo distruggono, che la violenza non porta mai pace. La storia lo dimostra, – osserva Francesco – eppure anni e anni di conflitti sembrano non aver insegnato nulla».
No, non hanno insegnato nulla se non a essere più disumani. E a esercitarsi nella creazione di nomi tragicomici per definire la mattanza in atto. Un esercizio che vede protagonista assoluto Benjamin Netanyahu. Il primo ministro israeliano ha proposto di cambiare il nome dell’operazione “Spade di Ferro” in “Guerra di resurrezione” durante una riunione di governo tenuta nel primo anniversario del 7 ottobre. Lo ha riferito Channel 12. “Guerra di resurrezione”. Cala il sipario.