La storia
Gianluca Zaghini, storia di un imprenditore vittima dello Stato: assolto ma i soldi restano confiscati
L’imprenditore di Forlì aveva un conto a San Marino. Lo stato italiano lo ha assolto ma il piccolo stato non gli ha mai ridato il denaro che gli era stato sequestrato
Giustizia - di Gianluca Zaghini
Sono un ex imprenditore forlivese, vittima di una confisca penale emessa dalle autorità di San Marino su un mio fondo pari a 1.892.700 euro. Nell’anno 2003, tale valore veniva sottoposto a sequestro preventivo dal giudice sammarinese per le rogatorie, a seguito di una specifica richiesta del Tribunale italiano davanti al quale io affrontavo un processo per evasione fiscale. Dopo quasi 15 anni, esattamente nell’anno 2017, il mio procedimento in Italia si concludeva nel grado di appello con assoluzione definitiva e la Corte competente dispose lo svincolo di tutte le somme di mia proprietà sequestrate cautelativamente, sia in territorio italiano che sammarinese, difatti inoltrando al giudice per l’esecuzione di San Marino uno specifico e motivato ordine di dissequestro.
Incomprensibilmente, però, ottenevo solo la restituzione dei fondi custoditi dalle autorità italiane e non anche quanto detenuto presso quelle sammarinesi. Solo in quel momento, nell’anno 2017, scoprivo quello che lo Stato di San Marino aveva compiuto alle mie spalle e all’insaputa dell’autorità italiana: nell’anno 2008, la somma di mia proprietà del valore – ripeto – di 1.892.700 euro vincolati a San Marino dal pm italiano già dal 2003 e che dovevano essere e restare di sola pertinenza dello Stato italiano, veniva confiscata per tramite di una sentenza che condannava per riciclaggio soggetti altri e diversi da me e all’interno di un processo penale svolto a San Marino, nel quale io non ero parte e per il quale mai avevo ricevuto alcuna comunicazione.
Ma trovammo altro e di ancora più sconcertante negli atti del processo sammarinese. Tale processo aveva come presupposto, testualmente: “il reato di evasione fiscale commesso da Gianluca Zaghini in Italia”. Peccato, però, che a quel tempo, ossia nell’anno 2008, io ero semplicemente un indagato in Italia e all’interno di un procedimento al termine del quale sarei poi stato assolto definitivamente. Quel che ha fatto, quindi, lo Stato di San Marino è stato condannarmi senza processarmi e inoltre emettere a mio carico – sempre al di fuori di un processo che mi riguardasse – una misura penale sulla base di mere supposizioni. Non soltanto, dalla lettura del testo del Decreto di confisca si evince che tale abominio avveniva persino grazie all’applicazione retroattiva della legge penale: il testo normativo utilizzato non era neanche vigente al tempo dei fatti contestati. Quel che ho subito, quindi, da San Marino, è stata e resta confisca patrimoniale completamente e manifestamente contraria a qualsivoglia principio fondamentale vigente negli odierni Stati di diritto: principio di legalità, principio di difesa e colpevolezza, rispetto della proprietà, Ne bis in idem internazionale e ancora i principi di proporzionalità e necessità dell’azione statale.
Ma vi è di più, le autorità sammarinesi non solo hanno calpestato manifestamente i miei diritti fondamentali, hanno anche violato palesemente gli storici accordi di buon vicinato tra la Repubblica di San Marino e lo Stato italiano, in quanto l’assurda confisca emessa sul denaro di mia proprietà è intervenuta su valori già investiti da un provvedimento giudiziario italiano e – incomprensibilmente – senza che mai lo Stato di San Marino indirizzasse alcuna comunicazione in merito, non soltanto a me, proprietario del denaro, ma neanche allo Stato italiano, autorità ab origine unica pertinente. Per il recupero del fondo, ho alla fine proposto tutti i ricorsi interni accessibili, rimedi, tuttavia, rimasti via via tutti infruttuosi per generiche e immotivate dichiarazioni di incompetenza dei giudici sammarinesi chiamati a pronunciarsi. Esauriti i rimedi interni, ho fatto ricorso alle vie giurisdizionali sovranazionali, lamentando la manifesta violazione di diritti fondamentali, quali quello a un equo processo, del rispetto della proprietà privata e di tutti i principi nazionali e internazionali connessi, specie con riguardo a quelli relativi alla “Confisca penale in assenza di condanna”.
Ad oggi, lacerato dalla mortificazione e stremato dalla stanchezza, sto ancora lottando tra vie ministeriali e diplomatiche per avere giustizia, assistito da un pool di giuristi coordinati dall’avvocato internazionalista Lucia Galletta che, come me, non si arrendono a un tale abominio processuale. È mia ferma intenzione continuare a combattere per le competenti vie. Io devo avere Giustizia e lo Stato italiano non può abbandonarmi.