Il caso dell'attivista iraniana
Maysoon non è una scafista, ma da 9 mesi è in cella da innocente
La sentenza di primo grado è attesa per il 5 novembre. Maysoon rischia una condanna a 16 anni di carcere.
Cronaca - di Angela Nocioni
Ci sono prove chiarissime della sua innocenza e anche prove lampanti che chi doveva indagare per dimostrare la sua colpevolezza non l’ha fatto. Ma Maysoon Majidi, 27 anni, curdo-iraniana, è ancora in cella a Reggio Calabria con l’accusa di essere una scafista. Mercoledì a Crotone è fissata l’udienza per il suo processo che continua ad ignorare una informazione fondamentale: sono i suoi stessi accusatori a scagionarla dicendo di non aver mai detto quello che viene loro attribuito.
Maysoon, con seri problemi di salute, magrissima e depressa, su pressioni della famiglia e del suo avvocato Giancarlo Liberati ha desistito ieri dal continuare il suo secondo sciopero della fame per chiedere di essere scarcerata. Il Tribunale della libertà dovrà pronunciarsi il 17 ottobre, tre richieste di scarcerazione sono state già respinte. Lei è in carcere da Capodanno. È una nota attivista per i diritti umani. Non capisce perché è ancora in carcere 4 mesi dopo la fila di elementi che dimostrano la sua innocenza e dopo esser riuscita, solo a maggio, a farsi interrogare dalla pm: 10 ore di interrogatorio. Ad accusarla di aver collaborato a bordo con gli scafisti erano le dichiarazioni di due migranti che hanno viaggiato nella stessa barca a vela incagliatasi il 31 dicembre. I due che hanno firmato l’atto d’accusa la scagionano completamente.
Hasan Hosenzadi, uno dei due, che vive a Berlino è stato dichiarato irreperibile dalla Guardia di finanza delegata dal tribunale di cercarlo. Ma non è vero che era irreperibile, bastava telefonargli. L’ha fatto il difensore, Giancarlo Liberati, appena uscito dall’udienza in cui il tribunale comunicava che l’accusatore purtroppo era irreperibile. Ha risposto subito: era dal dentista. Il 10 maggio, l’abbiamo chiamato dall’Unità, ha risposto immediatamente. Ha detto: «Sono disposto a giurare che quella ragazza non ha niente a che fare con chi gestiva la barca, non ha fatto niente, viaggiava come me». E ancora: «Ho detto che questa ragazza era una come noi, del tutto estranea, mi hanno fatto firmare alcuni documenti, non so esattamente cosa fossero. La polizia ha detto che questa ragazza era una degli scafisti. Ha insistito che avrei dovuto dire che era una scafista».
Lo ha ripetuto la settimana dopo a un inviato de Le Iene, con altri dettagli. Anche l’altro accusatore, Alì Dara Dana, la scagiona completamente. All’avvocato di fiducia Maysoon ha detto di aver pensato che la giustizia iraniana fosse una delle peggiori del mondo, ma che avendo provato sulla sua pelle quella italiana inizia a ricredersi. Tre istanze di scarcerazione sono state finora respinte. Mercoledì saranno interrogati i testimoni della polizia giudiziaria, il primo ottobre gli interpreti (che hanno mostrato finora, quantomeno, di aver capito fischi per fiaschi), il 22 per la difesa saranno sentite due persone arrivate in Italia nella stessa barca di Maysoon il 31 dicembre e suo fratello che viaggiava con lei. La sentenza di primo grado è attesa per il 5 novembre. Maysoon rischia una condanna a 16 anni di carcere.