Il caso della consulente
Chi è Maria Rosaria Boccia, la Milady di provincia ambiziosa e caparbia consulente di Sangiuliano
Non paghi lui per tutte le nefandezze del governo. Ma nella ambiziosa e caparbia consulente e nello spregiudicato ministro c’è la commedia umana
Politica - di Fulvio Abbate
Ma adesso, ragionando, non sia Gennaro Sangiuliano a pagare per tutti. Meglio, per i limiti dell’intero osceno governo Meloni. Non è giusto che alla fine della storia, d’ogni pettegolezzo implicito e perfino smaccato che lo stia riguardando, proprio il ministro della Cultura, nonostante le molte gaffes consegnate ai pubblici taccuini e allo scherno social, debba scontare, per intero, da solo, anche i limiti di chi ha avuto il talento di mostrarsi assai più furbo di lui; il Decameron di Boccaccio insegna in questi casi. Diventando così la prova provata di una presunta severità istituzionale del governo Meloni verso chi dovesse commettere errori, sporcarne la fiamma già ampiamente discutibile. Salvando implicitamente altre figure comprimarie più scafate, protette, garantite: la ministra del Turismo Daniela Santanchè, i suoi gazebi e ombrelloni imperiali, per esempio, anche in questo caso su tutte e tutti finora salvata.
La questione Boccia-Sangiuliano
La vicenda Boccia-Sangiuliano, al di là dei limiti conclamati del titolare, investe infatti l’ordinaria prevedibile commedia umana, le conclamate non meno umane debolezze. L’ambizione, la voglia di uscire dall’anonimato che, spiega Jack Lang, collega d’Oltralpe ben più titolato del nostro, è la morte civile, l’assenza stessa della democrazia, testuale. Qualcosa che investe perfino il tema della “carne”, del desiderio, comunque desiderare accanto figure femminili ancillari, in grado di supportare il peso quotidiano del ruolo istituzionale che ti è stato assegnato. Maria Rosaria Boccia va inquadrata dunque come sorta di “madrina di guerra”. Ingiusto negare che perfino nel profondo di Sangiuliano arda ciò che in psicoanalisi è detto “istinto desiderante”, sarebbe crudele, un supplizio ulteriore che in tempi di democrazia non può essere inflitto a nessuno, neppure a chi non abbia contezza esatta della collocazione geopolitica di Times Square. Altrettanto inutile a questo punto porre dubbi morali su Maria Rosaria Boccia, attribuendo alla signora il ruolo letterario di “perfida”, “manipolatrice”, “provinciale” interessata, degna dell’insinuante Milady che troviamo ne I tre moschettieri di Dumas. E se fosse invece, tra Gennaro e Maria Rosaria, amore, autentico amore?
Occorre semmai rilevare che da parte dei molti beneficiati del “Reich” meloniano, nonostante il richiamo alla fantasia futurista – e segnatamente pensiamo a Pietrangelo Buttafuoco che proprio da Sangiuliano ha ottenuto l’outfit di gala per accogliere i divi del cinema di Venezia con lo stesso glamour del tempo in cui brillava lì, Goebbels, altrettanto in outfit bianco – non si è visto finora nessuno che abbia sentito il dovere morale di alzarsi in piedi per indicare il dato, appunto, umano troppo umano, forse anche sentimentale dell’intero caso. Di fronte a tutto ciò, la segretezza burocratica, la contabilità elusa, le penne e addirittura i post-it impropriamente usati gratis passano in second’ordine, diventano un dettaglio irrilevante, poco più di uno scontrino andato perduto, coriandoli.
Lo scontro tra Sgarbi e Sangiuliano
Mesi fa, durante lo scontro ministeriale tra Sgarbi, allora sottosegretario sempre presso via del Collegio Romano, e Sangiuliano, parlando con quest’ultimo facevo notare che il ministro ne sarebbe uscito sconfitto rispetto al Vip conclamato, ossia Sgarbi, poiché nella percezione comune, testuale, vip è colui che ha diritto e pieno accesso ai piaceri della “fornicazione”, mentre non-vip è l’altro, cui è destinato il lato buio della strada, chi, sia detto prosaicamente, “non scopa”; dunque, caro Sangiuliano, testuale, “tutti staranno dalla parte di Sgarbi avendo la percezione del suo essere bramato dalle fanciulle”. Ho però sensazione che anche Gennaro a un certo punto abbia deciso di uscire dal cono d’ombra dell’anonimato cui accennava proprio Jack Lang, ritenendo che non solo l’hidalgo Don Chisciotte, ma anche Sancho, abbia diritto a una sua, tutta sua, Dulcinea. I risultati dell’azzardo sono ora sotto gli occhi di chiunque, ma domani è un altro giorno, anche per Gennaro, martire innanzitutto di sé stesso.