Il discorso del socialista
L’opposizione riparta da Filippo Turati: il programma socialista per una democrazia più forte
Filippo Turati tenne un discorso che elencava i punti di un programma di azione socialista. L’opposizione di oggi, unita, riparta da questo per la costruzione di una democrazia più forte
Editoriali - di Roberto Morassut
Il 26 giugno del 1920, in un momento particolarmente critico della democrazia parlamentare italiana, durante il dibattito per l’insediamento dell’ultimo governo Giolitti – che sarebbe durato un anno – Filippo Turati tenne un lungo discorso, poi pubblicato col titolo “Rifare l’Italia” che esponeva il programma socialista riformista davanti ai vorticosi cambiamenti seguiti alla Grande Guerra. Nel pieno di un clima sempre più arroventato, Turati cercò di far sentire la voce del socialismo riformista con un discorso che rappresentava una summa completa di un “Programma di azione socialista”. Un discorso ricco, complessivo e ancora attuale, per chi volesse rileggerlo, che disegnava il profilo di un paese ancora possibile, più moderno, più giusto, più democratico. Un programma riformista e, al tempo stesso, rivoluzionario.
Ho fatto questa premessa per collegarmi alla situazione di oggi e alla necessità che in questo vorticoso momento di cambiamenti si risvegli nel paese e in Europa il senso di una sinistra seria, riformatrice, capace non solo di difendersi dall’onda nera e sovranista, che appare arrestata ma non sconfitta, ma di collocare al centro degli attuali sconvolgimenti un suo punto di vista critico ed una proposta costruttiva in grado di unire il paese, rafforzare l’Unione europea, salvare la democrazia e la pace. Con il voto europeo siamo entrati in una nuova fase politica in Italia e in Europa. Si fa più acuto lo scontro tra populismo e democrazia; in alcuni contesti nazionali tra estrema destra e una sinistra riformista e radicale che deve, però, costruire ancora una sua identità di governo e che è attualmente attestata su solide posizioni difensive.
Sembra, per certi aspetti, di rivivere il clima degli anni Trenta con una destra nazionalista all’assalto ed una sinistra laica, socialista e radicale che si unisce nei Fronti popolari per difendere la democrazia. Allora in Francia e in Spagna; oggi in Francia e in Italia. Ogni paragone fra epoche diverse è sempre fuori luogo ma la terminologia frontista è tornata con tutto il suo fascino e tutti i suoi limiti. La situazione, sul piano internazionale si presenta incerta, aperta a tutti i possibili sbocchi, anche quelli più drammatici e travolgenti, per le sorti della democrazia. Il Papa ce lo ricorda costantemente. Il destino della pace in Europa e nel mondo è in bilico anche a causa delle timidezze e delle incertezze della sinistra europea, del socialismo europeo, sospeso ancora una volta, come alla vigilia delle due Guerre mondiali, tra la risposta militare e la via diplomatica, per ritrovare la pace.
Lo scontro è aperto. In Francia e in Italia la coscienza antifascista di due grandi nazioni, che hanno conosciuto e pagato le conseguenze del nazi-fascismo e dell’occupazione straniera, per il momento ha consentito di fermare l’onda nera di Le Pen e di Meloni. In Gran Bretagna sale al governo una proposta laburista larga ed egemonica, ma con una forte identità e un profilo deciso che già in questi giorni sembra affermarsi con la posizione di Starmer che chiede l’arresto di Netanyahu, decisione impensabile per nettezza e chiarezza per la titubante Unione europea.
Non spendo molte parole per la situazione statunitense dove l’auspicabile e rapida decisione sulla candidatura di Kamala Harris può rimettere in campo con orgoglio il Partito democratico nella battaglia contro Trump, campione mondiale del populismo, uomo capace di tutto, sul cui attentato gravano molte ombre.
Le sorti della democrazia restano, tuttavia, incerte sul piano storico, strutturale, epocale perché le basi delle democrazie occidentali, per come le abbiamo conosciute e per come si sono formate dal ‘700 in poi intorno al ruolo dei parlamenti e dei partiti politici, sono diventate più fragili per l’irrompere delle nuove tecnologie, di nuove forme partecipative o espressive dell’agorà pubblica, di enormi ingiustizie sociali, dell’impatto distruttivo di un turbo-capitalismo che ha svuotato dall’interno le basi morali e materiali della democrazia, della dirompente questione climatica che innesca guerre e gigantesche migrazioni. Percorriamo con altrettanta incertezza questo crinale anche in Italia. Per cui è lecito domandarsi: “Che fine sta facendo la nostra democrazia?”. Può bastare nel medio periodo una lotta centrata sul “ciò che non siamo e ciò che non vogliamo?”. La destra ha messo in campo una sua proposta. Un suo progetto, distruttivo. Basato su un patto e un’unità interna disomogenea e che scricchiola sempre di più. Un progetto che stravolge le basi costituzionali della democrazia repubblicana e la continuità storica e ideale tra il Risorgimento e la Resistenza. Noi ci opponiamo con energia in Parlamento e nel paese.
Elly Schlein ha costruito con determinazione – anche quando questa strada sembrava perdente o impraticabile – la via dell’unità tra tutte le forze dell’opposizione, un “campo largo” che ieri era poco meno che un’astrazione e oggi è un fatto concreto, a portata di mano. Elly ha accompagnato a questa ricerca politica un messaggio costante di rinnovamento del Partito democratico, di dialogo e interlocuzione culturale con nuove generazioni e sensibilità che fa oggi del Pd il partito più popolare proprio tra i giovani, cosa che non accadeva dal 2008-2009, gli anni in cui esso nacque con Veltroni. Ed il risultato delle europee ne è la prova. Si comincia quindi a costruire l’alternativa. Da Italia Viva ad Avs. Il “campo largo”, indicato da tempo da Goffredo Bettini, sembra prendere corpo. Serve, adesso, un “programma fondamentale” per l’alternativa; un discorso al paese che, in quattro o cinque punti di forte profondità riformista faccia comprendere come noi vorremmo “Rifare l’Italia” – evocando Turati – su una base di maggiore giustizia sociale, di una democrazia più forte e della pace.
Per brevità elenco velocemente alcune idee, meritando esse approfondimenti e ampliamenti ben maggiori: una riforma dell’ordinamento dello Stato e degli enti territoriali. Dobbiamo affrontare senza pudori la crisi irreversibile del parlamentarismo italiano che ha generato un Parlamento centrale sulla carta ma compresso nei fatti ed un esecutivo artificialmente invasivo nel campo legislativo, ma debole perché non basato su tempi certi di durata. La sola via di uscita sembra a me quella di un sistema istituzionale ed elettorale alla francese: semi-presidenziale, maggioritario, uninominale con il doppio turno. Le Regioni debbono essere ridotte ad un massimo di 12. Troppe regioni sono un peso per la spesa pubblica ed opprimono l’autonomia del comuni. Si torni, poi, alle Province elettive, e si dia un ordinamento speciale con potestà legislative concorrenti alle tre grandi città metropolitane a vocazione internazionale come Roma, Milano e Napoli. Per inverare il nesso tra transizione ecologica e giustizia sociale servono poderosi investimenti pubblici nei trasporti, nella sanità, nella scuola, nell’agricoltura, nell’edilizia, nell’industria.
Tali risorse, sotto forma di incentivi o diretti investimenti pubblici, possono derivare, oltre che dai programmi europei attuali e futuri, da un forte e nitido ribaltamento dell’ingiusto e dispersivo sistema fiscale italiano. Occorre un segno di classe alla proposta della sinistra, perché 100 miliardi di evasione non consentono alcuna azione riformista né radicale, né moderata, Nel quadro della riforma fiscale, va messa al centro una patrimoniale sulle grandi rendite e i grandi patrimoni, oltre i 10 milioni di euro. Una misura che può garantire ogni anno circa 15 miliardi in più per il bilancio dello Stato da destinare alla riconversione ecologica “giusta” per sollevare le condizioni delle classi popolari e dei ceti medi nel campo della casa e della mobilità, in primo luogo, e per il settore agricolo spingendolo ad abbandonare la dipendenza dai sussidi ambientalmente dannosi.
A Davos i super ricchi del mondo hanno riconosciuto la necessità di una loro maggiore partecipazione alla contribuzione fiscale. Solo in Italia l’espressione “patrimoniale per i grandi patrimoni” genera paure e resistenze persino nel campo democratico e progressista. Una politica organica per il governo del suolo che favorisca una rigenerazione urbana e territoriale di comparto e non puntuale, con opere pubbliche, servizi e politiche abitative sociali in chiave eco-compatibile e che sollevi le periferie e le aree interne gravate dall’insormontabile ostacolo del basso valore del mercato immobiliare. La creazione di un’Agenzia nazionale contro le calamità naturali e per la lotta al dissesto idrogeologico (Ancan) che, integrando il contributo delle Regioni e delle Autorità di distretto, pianifichi e realizzi gli interventi di contrasto e adattamento in ordinario e in straordinario senza inseguire gli eventi volta per volta.
Un potenziamento della pubblica amministrazione nei settori strategici della sanità, della scuola e dello Stato con un forte innesto di competenze tecniche. C’è bisogno di medici, insegnanti, ingegneri, architetti, economisti, chimici, fisici, geologi. In numero maggiore e meglio retribuiti. Su questo punto si deve mettere nel conto anche un contrasto con indirizzi europei le cui norme sui vincoli di bilancio, ingoiati dal governo Meloni, vanno rimessi in discussione. Una politica internazionale che restituisca all’Italia il suo naturale ruolo di promozione diplomatica e di mediazione, in primo luogo nel bacino strategico del Mediterraneo che apra con l’Unione europea il dossier delle politiche per l’immigrazione e l’accoglienza in un’ottica di governo europeo, solidale e coordinato e spinga per la creazione di un sistema di difesa europea proponendo che il raggiungimento del 2% del Pil per le spese militari nell’ambito della Nato sia vincolato alla costruzione di una comune difesa europea e ad una riforma dell’Alleanza atlantica nella quale l’Unione europea ne rappresenti la seconda gamba.
Questa è una base minima di confronto per un programma di alternativa di governo e per costruire anche nel Partito democratico una sinistra aperta, plurale, riformatrice che rinnovi la vocazione critica del pensiero socialista e lo cali nelle difficili contraddizioni di questo momento storico. Serve un “Programma fondamentale” per “rifare l’Italia” da costruire in un largo confronto politico e popolare tra tutte le forze dell’alternativa. Politiche, civiche e intellettuali. Una “Costituente per l’alternativa e per un nuovo soggetto politico dei democratici”.