Il vicepresidente del gruppo Pd-Idp

Intervista a Paolo Ciani: “I detenuti sono nostri compagni, ripartiamo dalle carceri”

«Definire questo decreto come “potentissimo” stona con la realtà. Bisogna smettere di considerare la punizione e la vendetta come i pilastri della giustizia. Un milione e 300 mila euro di stipendio a un commissario?»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

15 Agosto 2024 alle 08:00

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Intervista a Paolo Ciani: “I detenuti sono nostri compagni, ripartiamo dalle carceri”

Paolo Ciani, segretario nazionale di Democrazia solidale, vicepresidente del gruppo Pd-Idp alla Camera dei deputati: Perché il decreto legge del governo sulle carceri è un’occasione persa?
C’è una grande delusione perché questo decreto-legge avrebbe dovuto affrontare una vera emergenza di questo paese. E dopo 70 decreti legge che non avevano alcun carattere di necessità e urgenza, il carcere meritava una decretazione d’urgenza. Peccato che, di fronte a un’iniziativa parlamentare in corso, a prima firma Giachetti, che andava realmente ad affrontare l’emergenza, il governo ha preferito varare un decreto-legge che non ha nulla di realmente risolutivo del dramma che stanno vivendo le nostre carceri. Tant’è che mentre il Parlamento votava, il ministro Nordio era dalla presidente Meloni per parlare di “future misure per le carceri”, dimostrando l’inutilità del decreto per l’emergenza in corso oltre ad una scarsa considerazione del Parlamento. Una situazione drammatica in cui l’aspetto del sovraffollamento è una realtà evidente – con punte del 190%. E i dati drammatici dei suicidi ne sono una dolorosa riprova: quelli dei 65 detenuti dall’inizio dell’anno, ma anche quelli dei 7 agenti della Polizia penitenziaria. Ho ricordato all’aula come tra gli agenti che operano in carcere ci sia un tasso di suicidi doppio rispetto a quello delle persone comuni: un evidente segnale di come il carcere sia un mondo veramente alla deriva, un pezzo di Stato alla deriva. Suicidi a cui vanno aggiunti 15 “decessi per cause da accertare”. Nel provvedimento si parla di “strutture residenziali di emergenza” (unica previsione che potrebbe incidere sul sovraffollamento): ma di che si tratta? Nessuno lo sa e visto quello che questo governo ha fatto sui centri per i migranti la cosa ci preoccupa molto… È chiaro che dinanzi a questo dramma, sentir parlare di “potentissimo dl carceri” stona parecchio.

Lei in queste settimane ha visitato diversi istituti penitenziari. Un bilancio, politico e personale, di questa esperienza.
Io le carceri le visito da tanti anni, per 18 anni da volontario con Sant’Egidio, poi da Consigliere regionale quelle del Lazio e ora da deputato anche quelle italiane. In questi anni ho capito che il carcere è un microcosmo, abitato da cittadini che hanno compiuto dei reati o accusati di averlo fatto, ma che rimangono persone e cittadini. Con loro tutti gli altri, dalla polizia penitenziaria a chi lavora nell’amministrazione penitenziaria, ai servizi sociali, gli infermieri, i medici, i volontari. È sciocco pensare al carcere come a qualcosa di estraneo alla città, allo Stato e alla vita comune. Come è sciocco pensare che il malessere di uno non ricada sugli altri. Purtroppo, negli ultimi anni è cresciuta una subcultura molto violenta: quando si sentono persone delle istituzioni dire “buttiamo le chiavi” riferendosi a detenuti, è molto grave. Non solo perché per la legge italiana la pena e la detenzione servono per il corretto reinserimento sociale di chi ha commesso il reato, ma perché sottintendono un senso di vendetta e di disumanizzazione del detenuto. Non è la mia cultura, non è la cultura giuridica del nostro paese. In carcere ho incontrato persone molto differenti: tanti detenuti comuni, molte persone che sono in carcere perché povere (e non possono accedere a misure alternative per questo motivo), ma anche imprenditori o politici: per tutti è un momento di grande difficoltà e prova. Per questo mi dispiace molto sentirne parlare con superficialità o disprezzo. «Ma non pensi al male che loro hanno procurato?», mi sento dire talvolta.

E lei come replica?
Certo che ci penso, ma tutelare i diritti anche di chi ha commesso reati è la resistenza all’imbarbarimento della società che ricadrebbe negativamente su tutti, a cominciare dai più deboli. E da cristiano mi permetta di ricordare due cose: Gesù nel Vangelo si identifica nel carcerato e loda chi lo è andato a trovare (Mt. 25, 36) e, come ha ricordato Papa Francesco, incontrando la polizia penitenziaria e il personale dell’amministrazione penitenziaria, la lettera agli Ebrei dice: “Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere” (Eb 13,3). Penso che questa memoria sia un dovere ancor più per chi opera nelle istituzioni. Purtroppo invece, mi sembra che, quando parliamo di carcere e di detenuti, tanti nostri colleghi parlino di qualcosa di cui veramente non sanno nulla. Lo dico con rammarico, perché parliamo di una realtà molto importante dove vivono e muoiono tante persone, dove lo Stato dovrebbe essere molto presente. C’è la propaganda, poi c’è la realtà: sono stato al carcere minorile di Torino Ferrante Aporti una settimana prima della rivolta del 1° agosto e ho trovato un giovane direttore, bravo, impegnato e pieno di volontà, che mi ha raccontato tante idee e tante iniziative che stava facendo. In quel carcere, però, invece di esserci il massimo previsto dal regolamento, cioè 43 detenuti, ce n’erano 60 e c’era una sezione di ultra diciottenni, come previsto dalla legge, ma ce n’era anche un’altra composta per metà da ultra diciottenni e per l’altra metà da infra-diciottenni. Peraltro, quel carcere dovrebbe essere uno di quelli oggetto degli interventi di ristrutturazione del Pnrr, che non si può applicare nelle carceri sovraffollate. Così, vedere nel decreto legge che c’è uno stipendio di un milione e 300 mila euro per un anno e mezzo di commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria fa rabbia: cosa si può fare in 18 mesi?

Come risponde il governo e le forze politiche che lo sostengono?
Purtroppo, la dottrina di questa maggioranza è: più reati, più pene e più carcere: questo, alla faccia della rieducazione e dell’applicazione della Costituzione.

Non crede che la battaglia per una giustizia giusta con tutte le sue implicazioni, dovrebbe essere uno dei punti fondamentali di un’alternativa progressista?
Sicuramente sì. Per troppo tempo in Italia c’è stata una contrapposizione macchiettistica tra “garantisti” e “giustizialisti” che non ha prodotto nulla. Anche perché quasi sempre i “garantisti” lo sono per i “propri” e diventano manettari con “gli altri”. Incredibile è stato al riguardo il dibattito sulla possibilità di mettere le madri ree e i bambini in carcere: si è affrontato il discorso parlando esplicitamente in aula di una minoranza etnica (e quindi criminalizzando un intero popolo) e ipotizzando che il carcere potesse fungere da protezione per quelle donne “sfruttate”. Come ha giustamente ricordato in aula Andrea Orlando: pericoloso quello Stato che attraverso un giudice decide ciò che è meglio per te in una determinata condizione di vita. Certo la giustizia italiana ha gravi ritardi. È necessario un sistema più efficiente, che garantisca il rispetto della legalità insieme alla certezza del diritto e dei diritti dei cittadini, anzitutto quello di ottenere giustizia in tempi rapidi. Un sistema giustizia più giusto ed efficiente, e sottratto alle contrapposizioni politiche, rende lo Stato maggiormente in grado di rivolgere tutte le energie nel contrasto all’illegalità e alla criminalità, a partire da quella organizzata. Perché l’altro paradosso è che nelle beghe quotidiane sulla giustizia ci si dimentica quasi sempre il contrasto alle mafie, alla criminalità organizzata, alla corruzione, allo sfruttamento delle persone. Certo, la giustizia ha il compito di porre rimedio al “male” e di combatterlo. Ma se la giustizia si limita a essere solo retributiva, rimanendo legata alla logica cieca e senza prospettive della rabbia e della violenza, non credo riesca a porre termine alla spirale del male, sia dal punto di vista di chi commina la pena sia di chi la subisce. Come ha scritto Matteo Zuppi: “Solo l’uscita dall’idea della restituzione del male ricevuto, fa sì che la giustizia si apra alla speranza e diventi capace di dischiudere prospettive di futuro e di rinnovamento. La giustizia, infatti, penso che trovi il suo compimento solo se è in grado di ridare a tutti, sia alla vittima sia al reo sia alla società stessa, la possibilità di un futuro, di una ripartenza, di un cambiamento”. Se la giustizia si limita alla logica della vendetta, diventa fine a sé stessa e rischia di generare un movimento senza fine.

Contenuti e alleanze: si torna a parlare di “campo largo”. Lei come la vede?
Sono felice si cominci a parlare in maniera nuova di coalizione o alleanza. E credo sinceramente che con i sistemi elettorali che abbiamo in Italia sia oltre che utile, necessario per evitare un velleitarismo identitario che lascerebbe la destra al governo. È evidente che nel tempo individualista che viviamo, sottolineare le differenze aumenta la visibilità (basta vedere le quotidiane interviste “contro”). Ma trovo superficiale ed autolesionista porre veti a prescindere su singole persone (come fatto da alcuni dopo le aperture tra Schlein e Renzi), acuendo peraltro una politica personalistica e leaderistica. Già l’idea di coalizione porta con sé la collaborazione tra diversi e quindi la capacità di smussare le differenze e costruire un programma condiviso su cui ritrovarsi. Poi ognuno parlerà ai cittadini secondo la propria sensibilità e le proprie priorità. In questo anno e mezzo di legislatura ci siamo trovati più volte con tutte le opposizioni su punti programmatici (ultimo cronologicamente, molto importante, il no all’autonomia differenziata spacca Italia). E su altri ci troveremo: ci vuole pazienza, serietà e umiltà (virtù semisconosciuta in politica).
Con Democrazia solidale – Demos a livello locale e nazionale stiamo provando a fare questo usando il metodo di Giovanni XXIII: partire da ciò che unisce e mettendo da parte ciò che divide. Questo senza tirarsi mai indietro dall’affermare le nostre priorità anche quando sono di “minoranza”. Penso possa essere un buon metodo con cui costruire una nuova proposta ai nostri concittadini e l’alternativa alla destra nel nostro Paese.

15 Agosto 2024

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