Congresso mondiale della Filosofia di Roma
Biopolitica, la guerra in Palestina e l’assassinio della verità: un pensiero in cerca di cittadinanza
Ahmad Barqawi e Muhammad Ali Khalidi sono due intellettuali palestinesi d’origine, i quali hanno presieduto sessioni e affrontato tematiche cruciali del nostro tempo: si annusa l’esperienza di un diritto che cerca voce, di un pensiero che chiede dimora e cittadinanza
News - di Dorella Cianci
Nei giorni scorsi la filosofia, a Roma, si è mossa accanto all’attualità, provando a spiegarci la complessità dei nostri tempi. Un termine su tutti (analizzato da Foucault, Arendt, Agamben e molti altri) occupa il dibattito: biopolitica. Perché? Lo spazio biopolitico di un individuo non è mai uno spazio di vita nuda o disincarnata; è, bensì, lo spazio dei corpi, del loro essere sovrani su un territorio, del loro diritto di cittadinanza, che, a volte, è una legittimazione di esistenza secondo il nomos. Eppure capita, ottusamente, che la violenza metta in pericolo la biopolitica, impedendole di entrare – progressivamente – nello spazio pubblico, ben oltre quello spazio naturale che spetta a tutti gli esseri umani, dal momento in cui mettono piede sulla Terra. Partendo da qui, arriviamo dalla Palestina al Congresso mondiale della Filosofia di Roma, grazie a due importanti filosofi, decisamente impegnati nella causa della loro gente.
Ahmad Barqawi e Muhammad Ali Khalidi sono due noti intellettuali (palestinesi d’origine), i quali – al Congresso mondiale – hanno presieduto sessioni e affrontato tematiche cruciali del nostro tempo (dal concetto di cambiamento all’analisi spazio-temporale). C’è però altro, tanto altro nelle loro parole, nelle loro ricerche, nei loro libri: si annusa l’esperienza di un diritto che cerca voce, di un pensiero che chiede dimora e cittadinanza. Ahmad Naseem Barqawi è un siro-palestinese, professore universitario, scrittore, ricercatore e poeta, nato da genitori palestinesi. Arriva dalla città siriana di al-Hama, ha vissuto perlopiù a Damasco, in una famiglia della città palestinese di Tulkarem. Conosce Gaza in tutti i suoi vicoli e cunicoli. Prima di arrivare a Roma, in questi giorni, ha rilasciato una bell’intervista ad Al-Jazeera, dicendo: «L’attuale situazione del mondo è la tragica manifestazione della storia che si ripete, riecheggiando la famosa frase “La follia è fare la stessa cosa più e più volte e aspettarsi risultati diversi”».
Ha poi aggiunto: «Nel 1919, alla fine della prima guerra mondiale, le potenze vincitrici (Gran Bretagna, Francia, Italia, Stati Uniti e Giappone) si riunirono per la Conferenza di pace di Parigi, che produsse il Trattato di Versailles e istituì la Società delle nazioni, inaugurando una nuova era nelle relazioni internazionali. L’obiettivo primario di quest’ultima era promuovere la pace. La Società delle nazioni operava attraverso un consiglio esecutivo inizialmente composto da rappresentanti dei quattro vincitori: Gran Bretagna, Francia, Italia e Giappone. La Germania, sconfitta in guerra, vi aderì come membro permanente nel ‘26, ma si ritirò insieme al Giappone nel ‘33. La Società delle nazioni fallì clamorosamente nel raggiungere i suoi obiettivi fondamentali, dichiarando, poi, la propria fine il 20 aprile 1946. Si dimostrò incapace di risolvere questioni internazionali o di far rispettare la propria autorità sulle nazioni. Ad esempio, non riuscì a impedire al Giappone di invadere la regione cinese della Manciuria nel 1931 o a impedire all’Italia di attaccare l’Etiopia nel ‘35. Ancora più significativo, non riuscì a evitare lo scoppio della seconda guerra mondiale. Era troppo debole per contenere interessi coloniali crescenti e contrastanti».
Analizzando la storia con le chiavi interpretative della filosofia, si comprende bene come, con questo clamoroso fallimento, è venuta meno la legittimità politica di alcuni, mentre si è sempre più affermata quella condizione che Judith Butler chiama “dei senza Stato”. Un’analisi complessa – questa – che ha trovato eco fra i dibattiti filosofici romani. Ahmad Barqawi, riprendendo la sua ultima intervista, ha precisato: «Coloro che assassinano la verità sanno che è la verità, ma la negano, la distorcono o ne fabbricano una contraddittoria e inesistente. L’aspetto più pericoloso di questo assassinio della verità è che consente il genocidio e tutti gli altri crimini commessi in Palestina, come in altre zone del mondo». L’erosione della biopolitica va dunque a sovrapporsi all’assassinio della verità. “Penso dunque sono” si rivela, nell’orizzonte cieco della mancanza di diritto, una mero slogan, un’illusione: non basta più il pensiero per esserci.
Parlando poi con Muhammand Ali Khalidi si aggiunge un altro tassello a questo racconto della contemporaneità. Il filosofo ricorda che, a partire dal secondo giorno dell’ultimo attacco di guerra di Israele a Gaza, ovvero domenica 8 ottobre 2023, l’Istituto per gli studi sulla Palestina ha deciso di lavorare 24 ore su 24 per documentare la guerra genocida contro il popolo palestinese e registrarne l’impatto sulla questione palestinese, in particolare e sul tema arabo-israeliano in generale. Durante il primo mese di guerra, l’Istituto ha pubblicato una serie di documenti che trattano di storia, politica, questioni strategiche, diritto internazionale, economia, società… In considerazione dell’importanza di questi documenti politici, sia come ricerca accademica, sia per il loro valore documentario che per la loro copertura completa di diversi aspetti della guerra attuale, l’Istituto ha deciso di raccoglierli, poi, in un unico volume, destinato a diventare, al momento, un’opera di riferimento essenziale.
Il professore Khalidi, analizzando lo spazio biopolitico del suo popolo, ha messo in evidenza una novità fattuale, che diventa anche una novità interpretativa: «In questo quadro generale della situazione in Palestina, Internet è stato un importante punto di collegamento tra il vecchio e il nuovo. Un cambiamento culturale è iniziato tra la fine degli anni ‘90 e la metà degli anni 2000, caratterizzato da una maggiore apertura occidentale alle prospettive palestinesi, e che questo cambiamento culturale è stato probabilmente facilitato dall’avvento di Internet e dalla conseguente disponibilità di una gamma più ampia di informazioni. Per quanto riguarda il momento attuale, i social media potrebbero ora svolgere lo stesso ruolo che l’avvento di Internet ha svolto in precedenza: portare una gamma ancora più ampia di prospettive, ora includendo immagini, video e narrazioni personali, nella consapevolezza occidentale senza precedenti, fornendo una fonte di informazioni che il resto del mondo cerca di non vedere».