“Lettera a una professoressa” di Don Milani: una lezione di cultura e umiltà

Quelli che pubblichiamo sono brevissimi estratti del libro. Uno dei ragazzi della scuola di don Milani si rivolge a una ipotetica professoressa: "Tutta la vostra cultura è costruita così, come se il mondo foste voi"

Editoriali - di Redazione Web

8 Agosto 2024 alle 19:00

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“Lettera a una professoressa” di Don Milani: una lezione di cultura e umiltà

Lettera a una professoressa. È un libro del 1967. Clamorosamente attuale. Quelli che pubblichiamo sono brevissimi estratti. Uno dei ragazzi della scuola di don Milani si rivolge a una ipotetica professoressa.

La timidezza

Da ragazzo non alzavo gli occhi da terra. Strisciavo alle pareti per non esser visto. Sul principio pensavo che fosse una malattia mia o al massimo della mia famiglia. Più tardi ho creduto che la timidezza fosse il male dei montanari. Ora ho visto che gli operai lasciano ai figli di papà tutti i posti di responsabilità nei partiti e tutti i seggi in parlamento. Dunque son come noi. È la timidezza dei poveri. Forse non è né viltà né eroismo. È solo mancanza di prepotenza.

La pluriclasse

Alle elementari lo Stato mi offrì una scuola di seconda categoria. Cinque classi in un’aula sola. Un quinto della scuola cui avevo diritto. È il sistema che adoprano in America per creare le differenze tra bianchi e neri. Scuola peggiore ai poveri fin da piccini.

Scuola dell’obbligo

Finite le elementari avevo diritto a altri tre anni di scuola. Anzi, la Costituzione dice che avevo l’obbligo di andarci. Ma a Vicchio non c’era ancora scuola media. Andare a Borgo era un’impresa. Chi ci s’era provato aveva speso un monte di soldi e poi era stato respinto come un cane. Ai miei poi la maestra aveva detto che non sprecassero soldi: “Mandatelo al campo. Non è adatto per studiare”. Il babbo non le rispose. Dentro di sé pensava: “Se si stesse di casa a Barbiana sarebbe adatto”.

Barbiana

A Barbiana tutti i ragazzi andavano a scuola dal prete. Dalla mattina presto fino a buio, estate e inverno. Nessuno era “negato per gli studi”. Ma noi eravamo di un altro popolo e lontani. Il babbo stava per arrendersi. Poi seppe che ci andava anche un ragazzo di S. Martino. Allora si fece coraggio e andò a sentire.

Il bosco

Quando tornò vidi che mi aveva comprato una pila per la sera, un gavettino per la minestra e gli stivaloni di gomma per la neve. Il primo giorno mi accompagnò lui. Ci si mise due ore perchè ci facevamo strada col pennato e la falce. Poi imparai a farcela in poco più di un’ora. Passavo vicino a due case sole. Coi vetri rotti, abbandonate da poco. A tratti mi mettevo a correre per una vipera o per un pazzo che viveva solo alla Rocca e mi gridava da lontano. Avevo undici anni. Lei sarebbe morta di paura, professoressa. Vede? Ognuno ha le sue timidezze. Siamo pari dunque. Ma solo se ognuno sta a casa sua. O se lei avesse bisogno di dar gli esami da noi. Ma lei non ne ha bisogno.

La ricreazione

Non c’era ricreazione. Non era vacanza nemmeno la domenica. Nessuno di noi se ne dava gran pensiero perché il lavoro è peggio. Ma ogni borghese che veniva a visitarci faceva una polemica su questo punto. Un professore disse: “Lei reverendo non ha studiato pedagogia. Polianski dice che lo sport è per il ragazzo una necessità fisiopsico…”. Parlava senza guardarci. Chi insegna pedagogia all’Università, i ragazzi non ha bisogno di guardarli. Li sa tutti a mente come noi si sa le tabelline. Finalmente andò via e Lucio che aveva 36 mucche nella stalla disse: “La scuola sarà sempre meglio della merda”.

I contadini nel mondo

Questa frase va scolpita sulla porta delle vostre scuole. Milioni di ragazzi contadini son pronti a sottoscriverla. Che i ragazzi odiano la scuola e amano il gioco lo dite voi. Noi contadini non ci avete interrogati. Ma siamo un miliardo e novecento milioni. Sei ragazzi su dieci la pensano esattamente come Lucio. Degli altri quattro non si sa. Tutta la vostra cultura è costruita così, come se il mondo foste voi.

8 Agosto 2024

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