Umanità

“Il roseto”, uno spazio di intimità per ridare dignità ai detenuti

Giustizia - di Cesare Burdese

4 Agosto 2024 alle 09:00

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“Il roseto”, uno spazio di intimità per ridare dignità ai detenuti

Nel 2016 ho progettato per la Serenissima Repubblica di San Marino un carcere “contemporaneo”, in sostituzione del vecchio situato nell’antico convento dei cappuccini. Il mio committente volle specificatamente che nel nuovo carcere prevedessi uno spazio per il “ricongiungimento familiare” dei detenuti, costituito da un soggiorno con angolo cottura, una camera da letto matrimoniale, un servizio igienico e una loggia. Nulla di carcerario, ma un ambiente di tipo domestico, dove peraltro le garanzie di sicurezza non sarebbero venute meno.

In quello spazio, la persona detenuta avrebbe potuto condividere con i propri familiari o il partner della vita, per un tempo significativo, momenti di intimità, nel pieno rispetto della privacy, fuori dal controllo visivo e auditivo del personale di custodia. Progettai il carcere come mi era stato richiesto, nel solco di quanto da tempo avviene nelle nazioni più rispettose della dignità e dei diritti delle persone detenute. A consegna avvenuta del progetto, subentrò un nuovo governo che accantonò l’idea di costruire il nuovo carcere; il mio progetto fu cestinato. Ho appreso che nel 2023 sono iniziati lavori di migliorie nel vecchio carcere, ma non ho avuto notizie in merito al destino del locale per il “ricongiungimento familiare”. Questa vicenda dimostra come l’ideologia del governante di turno possa, progettisticamente, nel bene o nel male, incidere sul rispetto della dignità e dei diritti fondamentali delle persone coinvolte nella vicenda penale.

A qualche centinaio di chilometri da San Marino, a Padova, oggi mi ritrovo ad affrontare progettisticamente la stessa questione. Le circostanze sono altre, ma il tema e i valori sono gli stessi. Tutto ha inizio con la sentenza n.10/2024 della Corte costituzionale che “qui e ora”, oltre alla generica valorizzazione del diritto all’affettività, introduce di fatto in carcere “la possibilità di utilizzare il tempo del colloquio con il/la partner per rapporti intimi anche di tipo sessuale”. Con intento collaborativo, Ornella Favero, direttrice di Ristretti orizzonti e presidente della Conferenza nazionale volontariato e giustizia, lo scorso febbraio, ha avviato un confronto su come costruire uno spazio per l’intimità degli affetti, al carcere Due palazzi di Padova, dove da decenni opera.

Nell’ambito della Giornata nazionale di studio Io non so parlar d’amore…, organizzata da Ristretti orizzonti il 17 maggio scorso, nel solco dell’iniziativa avviata, mi sono messo a disposizione, per dare vita ad una attività progettistica condivisa con i detenuti. Le testimonianze delle persone detenute e dei loro familiari intervenuti quel giorno, hanno dato ulteriore valore all’iniziativa e a questo inedito cimento progettuale.
Il progetto oggi è stato redatto, con i collaboratori detenuti di Ornella Favero: la struttura progettata si chiama “Il roseto” e coniuga architettura e arte contemporanea, per l’apporto dell’artista torinese Eraldo Taliano. Essa è prevista collocata in un’area detentiva attualmente libera, in prossimità dell’ingresso del carcere, ma potrebbe sorgere analogamente in numerose altre carceri.

“Il roseto” si compone di quattro piccoli padiglioni, che contengono ciascuno un soggiorno dotato di angolo cottura, una camera da letto per due, un servizio igienico e zone esterne coperte per la permanenza all’aperto. I padiglioni circondano una piccola piazza che contiene una vasca con l’acqua, per il gioco dei bambini. Il tutto è immerso in un roseto; le persone detenute potranno avvicendarsi nella cura delle rose.
“Il roseto” dovrebbe essere realizzato con il coinvolgimento di persone detenute – coadiuvate da maestranze qualificate – sulla scorta di esperienze analoghe condotte in altre carceri italiane. Solo per citare i casi più significativi, ricordo “Il giardino degli incontri” nel carcere di Sollicciano, la “Casetta rossa” nel carcere di Bollate, la “Casa per l’affettività – M.A.MA” nel carcere di Rebibbia. Questi edifici sono l’espressione architettonica di principi e concetti di civiltà sanciti dalla nostra Costituzione.

A seguito del pronunciamento della Consulta, è stato costituito presso il Dap un apposito tavolo multidisciplinare che si prefigge, tra il resto, di definire i requisiti architettonici dei nuovi locali che la sentenza prefigura. L’auspicio è che quel tavolo di lavoro possa rappresentare un momento di crescita, morale e culturale, e che vi sia spazio per un ampio confronto con quanti si occupano di carcere e di architettura, nella più totale coerenza costituzionale.
*Architetto, esperto
di architettura penitenziaria

4 Agosto 2024

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